La Gioconda, che ancora gli italiani rimpiangono essere finita al Louvre, i marmi del Partenone, gloria di Atene esposta tra Londra e Parigi: esiste una nazionalità delle opere d'arte? Un quadro o una scultura sono del paese che le ha prodotte oppure appartengono all'umanità, non importa dove si trovino fisicamente? Le polemiche sono vecchie di secoli e non sono tutte infondate. Se da un lato infatti il merito di rendere fruibile un'opera antica va a chi ha stanziato i fondi per scavi e restauro, dall'altro non è auspicabile che i popoli che non se lo possono permettere siano privati (anche) della loro ricchezza artistica. Senza contare che spesso i trasferimenti non sono stati fatti alla luce del sole, ma sono frutto di veri e propri furti.
Ora il Getty museum di Los Angeles fa un gesto di trasparenza unilaterale e per certi versi rivoluzionario. Ha avviato una verifica sulla provenienza di circa 45mila "suoi" pezzi. Lo scopo? Decidere se le antichità debbano tornare ai paesi d'origine. I risultati dell'ispezione sulle collezioni saranno anche pubblicati on line. L'iniziativa del museo californiano è partita sulla scia dello scandalo degli oggetti archeologici rubati, che ha portato alla restituzione in cinque anni all'Italia di una cinquantina di opere tra cui la Venere di Morgantina. Due mesi fa il Getty ha anche annunciato la riconsegna alla Sicilia di una testa di Ade in terracotta, scavata da ignoti nell'area di Morgantina e acquistata nel 1985 sul mercato antiquario.
Sono attesi risultati clamorosi, come spiega il Los Angeles Times. Migliaia di pezzi delle collezioni esposte sono infatti stati comprati con documentazioni falsificate per nasconderne la provenienza illegale. Tutto è partito dalla pubblicazione su internet di un catalogo con alcuni amuleti di ambra, che sono stati quasi certamente trafugati da tombe dell'Italia settentrionale.
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