Lo storico dell'arte Gillo Dorfles lo ha definito «un contemporaneo a proprio agio di fronte all'antichità». Il soggetto in questione è il grande scultore italo-svizzero Alberto Giacometti. Per capirne l'irrefrenabile attrazione verso la lezione arcaica - dice - basterebbe forse una brevissima sosta a Volterra per immergersi nella visione estetica dell'Ombra della sera, celebre statuetta etrusca già decantata da Gabriele D'Annunzio e a cui l'artista novecentesco parve essersi particolarmente ispirato. Del resto, non è un mistero di quanto le avanguardie siano rimaste ammaliate e poeticamente influenzate dalle seducenti immagini - parafrasando Camille Paglia - dell'arte cosiddetta primitiva, da quella egizia a quella minoica fino alle maschere tribali dell'Africa Centrale. Ma questa "seduzione" non è mai abbastanza sottolineata perchè proprio quelle muse e quel dialogo riescono a rieducare lo sguardo e restituire un senso profondo alla Bellezza. In questo senso merita certo un plauso la bella esposizione curata da Chiara Gatti al museo Mann di Nuoro intitolata «A un passo dal tempo, Giacometti e l'arcaico». Ancora lui, l'autore di capolavori come L'homme qui marche, viene qui celebrato come un rivoluzionario della forma certo controcorrente rispetto ai suoi contemporanei; mai come stavolta, però, il dialogo con la matrice arcaica emerge conclamato e fa come vibrare di nuova intensità le sue sculture silenziose e filiformi. La curatrice ha infatti ideato un inedito percorso espositivo affiancando al surrealismo giacomettiano una serie di sculture di arte antica reperite dai più importanti musei italiani. Un viaggio, quello ideato dalla Gatti, nello spazio e nel tempo sviluppato per temi e iconografie. Ecco allora che opere importanti dell'artista svizzero - come quelle provenienti dalla Kunsthaus di Zurigo e dalla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia - rivivono plasmate dalla luce di reperti archeologici immortali sommando e invertendo simbolismi e analogie. «Dagli studi condotti negli anni sui punti di contatto fra l'opera di Giacometti e la statuaria d'epoca antica - sottolinea la curatrice - dall'arte egizia a quella sumera, dai manufatti dell'età del bronzo all'arte greca fino alla scultura africana, emerge infatti la possibilità di costruire una mappa delle iconografie del passato e delle culture più amate dall'artista, prese a modello per la sua riflessione contemporanea, tesa alla ricerca di forme espressive ancestrali, capaci di rappresentare l'uomo moderno in una visione eterna, in un recupero delle origini e della nostra storia».
Ecco esposte le figure di origine etrusca, come gli Aruspici dai corpi a lama del Museo di Villa Giulia a Roma, scoperti dall'artista durante il primo viaggio in Italia fra 1920 e 1921; e le statue egizie nella loro regale frontalità, o le figure Igala della Nigeria, e gli stessi bronzetti nuragici della Sardegna diventano icone che ben si inquadrano in un vortice silenzioso dove la forma diventa sostanza universale.
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