Il gotha dell’arte? Stampato da italiani

Dalla fotografa Cindy Sherman al Moma di New York tutti scelgono la tecnologia a 560mila colori della Trifolio

Il gotha dell’arte? Stampato da italiani

Cindy Sherman è la fotografa più pagata al mondo. Nel maggio 2011 il suo autoscatto Untitled #96 è stato venduto all’asta da Christie’s per 3,89 milioni di dollari. Quando l’artista statunitense ha avuto fra le mani la prima copia del suo nuovo libro, intitolato semplicemente Cindy Sherman e sfornato dall’italiana Trifolio, ha scritto una mail di brevità tacitiana: «Wowowo-wowowow!». Poi ha aggiunto: «It looks totally amazingly gorgeous! I love it» (È tutto incredibilmente stupendo! Mi piace). E lo scorso 26 febbraio, all’inaugurazione della sua mostra retrospettiva che rimarrà aperta fino all’11 giugno al Moma, il Museum of modern art di New York, ha voluto conoscere di persona Massimo Tonolli, presidente dell’azienda di preparazione e stampa: «Nessuno dei miei volumi di fotografia è mai stato così bello», s’è complimentata.
Poteva accadere solo a Verona, la città da dove nel 1917 decollò la fortuna industriale del più grande stampatore dell’era moderna, Arnoldo Mondadori. Non a caso Tonolli e gli altri due soci della Trifolio, Alberto Adami e Nadia Bottacini, sono stati per molti anni dipendenti della tipografia fondata da Hans Mardersteig, il Michelangelo delle arti grafiche, un tedesco di Weimar che nella città scaligera si fece chiamare Giovanni, alla cui Officina Bodoni, dotata di torchio a mano, Mondadori affidò la produzione dei 46 volumi dell’Opera omnia di Gabriele d’Annunzio, voluta da Benito Mussolini e uscita fra il 1927 e il 1936.
Il merito dei tre veronesi è di aver messo a punto, con la collaborazione del fotografo Alberto Cafaro e del tecnico Andrea De Rossi, un rivoluzionario sistema chiamato AreaW4, dove «W» sta per «wide», largo, e 4 per quadricromia. Si tratta di un processo di elaborazione dell’immagine che ha consentito di aumentare del 40 per cento il numero delle tonalità di colore riproducibili nella stampa, portandolo da 400.000 a 560.000. «In pratica ci siamo avvicinati il più possibile ai 2,4 milioni di colori percepiti dall’occhio umano», spiega Tonolli. «Il risultato è uno straordinario effetto di profondità, che dà al lettore la sensazione di trovarsi di fronte a foto in 3D. Però la tecnica ti porta sino a un certo punto. Se vuoi andare oltre, serve la passione». E per arrivare al risultato finale vicino alla tridimensionalità la Trifolio ha anche dovuto cambiare i pigmenti degli inchiostri, con una formula quasi alchemica che non viene ovviamente svelata.
Pur con un numero di dipendenti da bottega rinascimentale, appena 13 ma ben preparati e motivati, la tipografia veneta aveva cominciato a farsi fama fin dal 2000, quando stampò il suo primo libro d’arte, The clandestine mind del fotografo John Dugdale, pubblicato dall’editore Steven Albahari di Boston, 400 dollari l’edizione normale, 1.800 quella di lusso, 6.000 le cinque copie di tiratura speciale che recavano incollate le immagini originali.
Poi fu la volta di Lewis Carroll photographer, un volume edito dalla Princeton University che riproduceva i ritratti (vagamente pedopornografici) scattati dall’autore di Alice nel paese delle meraviglie alla sua piccola musa ispiratrice Alice Liddell. Il professor Roger Taylor, curatore dell’opera, restò per una settimana nello stabilimento di Montorio Veronese a seguire le fasi finali di stampa. E alla fine fu talmente soddisfatto da appuntare nella lettera di ringraziamento una spilla a forma di trifoglio che ricordava il logo della tipografia.
Da allora l’azienda dà alle stampe una quarantina di volumi l’anno. Opere monumentali come il catalogo ragionato del pittore Robert Motherwell, tre tomi, 1.700 pagine, più di 3.000 illustrazioni, licenziato in questi giorni da cinque esperti inviati dalla Yale University. Non si contano i libri degli artisti di fama mondiale usciti dalle macchine piane della Trifolio: dalle monografie retrospettive dei pittori Pablo Picasso, Andy Warhol, Edgar Degas, Claude Monet, Henry Matisse e George Seurat ai portfolio dei fotografi Adam Fuss, Bruce Davidson, Robert Adams, Carleton Watkins, Daido Moriyama, Richard Misrach, Robert McCabe, Frank Gohlke e Sally Mann.
La figlia di Ugo Mulas, Melina, è arrivata a porre come condizione alla casa editrice Electa che una raccolta del padre, La scena dell’arte, fosse stampata dagli artigiani veronesi. I quali alla perizia tecnica uniscono un’avvolgente soavità veneta nelle relazioni. «L’Amarone aiuta» sorride Tonolli. «Ma anche il tiramisù: Davidson, uno dei grandi della Magnum Photos, ne era ghiotto e nelle due settimane che è rimasto qui ha voluto ogni giorno assaggiarne uno diverso nelle trattorie della zona. Solo che poi gli prendeva l’abbiocco e prima delle 16 non c’era verso di farsi vistare una prova di stampa...».
La Trifolio lavora per il 90 per cento con gli Stati Uniti e per l’8 per cento con Gran Bretagna, Francia e Germania. È diventata un punto di riferimento per musei come il Moma e il Whitney di New York, il J. Paul Getty e l’Hammer di Los Angeles, il Museum of fine arts di Boston e il Museum of modern art di San Francisco; per le università di Princeton e di Yale; per le gallerie d’arte Fraenkel di San Francisco e Gagosian di New York; per gli editori Prestel, Aperture, Schimer-Mosel e Rizzoli Usa. «Perché non abbiamo committenti italiani? Molto semplice: le capacità dei tecnici creativi e le professionalità estreme interessano soprattutto al cliente americano, disposto a sborsare quel 20 per cento in più che il sistema AreaW4 comporta», specifica Tonolli. Insomma, la qualità paga. Tant’è che la Trifolio non risente della crisi economica ed è già subissata di commesse sino al prossimo inverno.
Nel frattempo, dopo aver visto il libro di Cindy Sherman, si sono fatti vivi anche i musei Metropolitan e Guggenheim di New York.

E nella notte degli Oscar i premiati hanno ricevuto in dono dall’Academy l’ultima monografia di Herb Ritts, L.A. style, stampata dai veronesi per conto del Getty museum. Molto più di una nomination, per Tonolli e soci.
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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