La grande fuga degli antiquari: «In Italia solo tasse e burocrazia»

Nello stand della canadese Landau Fine Art, una delle maggiori gallerie antiquarie del mondo, campeggiano numerosi capolavori italiani tra cui un ritratto di Amedeo Modigliani in vendita a 25 milioni di dollari. Poco più in là lo storico mercante romano Cesare Lampronti, uno dei 13 italiani selezionati dalla severa giuria del Tefaf di Maastricht, reca sulla targa «London gallery». Sono i due volti paradossali del mercato italiano dell'arte alla fiera più importante del mondo, quella che nella città olandese riunisce il gotha del collezionismo mondiale. Da un lato un interesse sempre più alto da parte del mercato internazionale verso gli old master del Belpaese. Dall'altra, la grande fuga degli operatori italiani. Il caso di Lampronti è emblematico. Al Tefaf gli antiquari nostrani con sede all'estero sono ormai la maggioranza: dal toscano Fabrizio Moretti (Florence, London, New York) al milanese Voena Robilant (London) al lombardo Maurizio Canesso (Paris). Per non parlare di quelli che in Italia non hanno più neanche una vetrina, come i «newyorkesi» Gian Enzo Sperone e Marco Grassi. «Ho resistito fino all'ultimo ma ho dovuto cedere» dice Lampronti, che al Tefaf ha esibito due vedute di Canaletto e Bellotto da due milioni di euro ciascuna. «In Italia burocrazia e fisco hanno creato un regime di criminalizzazione del collezionismo che terrorizza sia gli italiani, che temono di dichiarare acquisti superiori ai 1.500 euro, sia gli stranieri che l'arte italiana la amano ma preferiscono comprarla altrove per paura dei vincoli sulla circolazione delle opere, che possono bloccare qualsiasi acquisto con l'arma subdola della notifica».

Un esempio qui al Tefaf era esposto nello stand del milanese Longari: un crocifisso policromo del 1240 in vendita a 1,8 milioni. «Lo Stato me lo ha notificato e non può lasciare il Paese. Che dire? Spero che lo compri un collezionista italiano o uno straniero con casa in Italia...».

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