Guareschi e Jannacci, quei maestri di periferia

Ironia senza cinismo, spirito popolare senza demagogia, nessuna omologazione alle mode. Il giornalista scrittore e il medico cantautore: così lontani, così vicini

Guareschi e Jannacci, quei maestri di periferia

Il Giobà è un balordo di paese. Un tipo strano, con la fissa del ciclismo. Tutte le mattine inforca la bici da corsa per andare in città a comprare La Gazzetta dello sport , trenta chilometri andata e ritorno, perché quella che «vendevano in paese non gli offriva sufficienti garanzie di serietà». Di ciclismo il Giobà sa tutto e quando a Lascia o raddoppia? si presenta un concorrente esperto delle due ruote, si dimostra più ferrato di lui. Ma non c'è verso di convincerlo a iscriversi al «gioco degli indovinelli». Ci provano quelli della sezione del partito comunista e anche gli amici del parroco, ma niente da fare perché, risponde il Giobà, «ho la mia dignità».

Anche il Sottotenente è una figura insolita. Uno che incuriosisce perché se ne va in giro con «tre banane e due arance dentro un sacchetto di plastica bianca». È un ufficiale fuori dai giochi che contano, non un capo o un potente ma «un vinto o un perdente». Che arriva come un imprevisto e, oltre alle banane e alle arance, dal sacchetto prova a tirar fuori anche un «bel suono che lo potessero capire un po' tutti... perché era un suono come di pace, che unisce tutta la povera gente».

Tipi strani, poco affidabili, il Giobà e il Sottotenente. Tipi marginali. Il primo è un'invenzione di Giovannino Guareschi, il secondo di Enzo Jannacci. Ad accostare il «Mondo Piccolo» dell'autore italiano più tradotto nel mondo e la «Roba Minima», roba de barbun e di «disgraziati» cantati dal medico-artista, provvede la mostra del Meeting di Rimini intitolata «Le periferie esistenziali in Giovannino Guareschi e Enzo Jannacci» che pubblica l'inedito a fumetti dell'episodio «Il campione» (quello del Giobà) della serie «Don Camillo a fumetti» (Renoir Comics).

Operazione spericolata, affiancare due figure tanto diverse e lontane tra loro? Volo pindarico tra l'Italia post Seconda guerra mondiale della Bassa Padana e quella, di poco successiva, del boom economico e dell'espansione metropolitana? «Mentre ferveva la ricostruzione materiale, Guareschi mise mano a quella morale», scrive Paolo Gulisano nei testi introduttivi agli episodi che riguardano il giornalista e scrittore. «Occorreva somministrare agli italiani gli antidoti contro i veleni dell'odio ideologico prima, e della brama di guadagno con ogni mezzo poi». Ma Guareschi è rimasto a lungo «profeta inascoltato» e gli italiani hanno continuato ad appiattirsi sulle parole d'ordine della politica e ad abbandonarsi alle sirene della pubblicità e del consumismo.

Ora, che cosa unisce don Camillo e Peppone, la padrona che salva la famiglia dalle grinfie dell'usuraio con i risparmi della sua tirchieria, la figlia dei ricchi borghesi eletta miss alla Festa dell'Unità con i personaggi jannacciani come Vincenzina della fabbrica che non sarà mai un numero perché sente «odor di pulito», il gruista innamorato che vive a centro metri da terra, Giovanni telegrafista di una stazioncina isolata ma con il cuore urgente, il barbone con le scarpe da tennis? Confrontarli è un azzardo agli occhi dello «spettacolificio» in voga. Una forzatura secondo le griglie interpretative del pensiero unico del politicamente corretto e dei salotti di tendenza. Invece «sono la periferia dell'umano, personaggi in apparenza marginali, che non cercano il riconoscimento sociale ma, non si sa come, semplicemente stanno vivendo dei loro bisogni e desideri. Sono il centro dell'esistenza. L'io messo a nudo. Quello che rimane quando tutto sembra crollare», si legge nelle note della mostra (curata da Davide Barzi, Silvia Becciu, Massimo Bernardini, Stefano Giorgi, Paolo Gulisano, Sandro Paté, Andrea Pedrinelli, Maurizio Vitali, Giorgio Vittadini, con il sostegno di Alberto e Carlotta Guareschi e Paolo Jannacci).

Guareschi e Jannacci sono «diversi ma profondamente simili. Ironici ma mai cinici e sempre complici di ogni piega dell'umano. Non hanno alcuna ideologia da difendere, non fanno la predica, non parlano sopra ai loro personaggi, ma leggono il mondo attraverso i loro sguardi liberi». Allora forse una mostra così «azzardata» come questa fa comprendere che esiste una realtà altra che si muove dietro l'omologazione e le formule abituali della pubblicistica dominante, quella di certa televisione di successo, dei media più celebrati che tendono pigramente a incasellare persone e storie dentro schemi assodati. Una realtà di persone e figure fuori dalle mode. Come sono stati il Guareschi del «Mondo Piccolo» e lo Jannacci della «carezza del Nazareno».

E basta soffermarsi sulla conversazione, anch'essa inedita, del medico-cantante con i ragazzi del centro di Portofranco per capirlo.

Oppure rileggere il commento dello stesso Jannacci alla figura di quel suo strano Sottotenente contenuto in un'intervista rilasciata a Fucine morte nel 2003: «Pochi capiscono il significato delle canzoni, come pochi hanno capito che il Sottotenente, da me citato in una canzone, è in realtà Gesù Cristo. Alla gente basta che un ritornello sia divertente, sia associabile a qualcuno. “Ah, quello è Jannacci”, dicono. “No, Jannacci un cazzo”, rispondo io. Non sono uno omologabile, purtroppo».

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