La guerra del pugno chiuso sulle tavole del teatro di Roma

È solo una lotta a sinistra. Una specie di braccio di ferro fra opposte fazioni di una sola parte politica. Perché una nomina corrisponde sempre a una poltrona, un centro di potere, un territorio da occupare

La guerra del pugno chiuso sulle tavole del teatro di Roma

E’ solo una lotta a sinistra. Una specie di braccio di ferro fra opposte fazioni di una sola parte politica. Perché una nomina corrisponde sempre a una poltrona, un centro di potere, un territorio da occupare. Sono soldi, lavoro da spartire, premi da assegnare, favori da restituire. È la triste storia del Teatro di Roma. Uno dei teatri Stabili italiani, prossimo teatro nazionale, secondo i dettami del decreto Valore Cultura, convertito in legge entrata in vigore l’8.10.2013 … Era il 23 gennaio 2014. Gli applausi in sala benedicevano la nomina di Ninni Cutaia a nuovo Direttore del Teatro di Roma, Marino Sinibaldi diventava nuovo Presidente e, con loro, si insediava il nuovo CdA. Tutti nuovi di pacca. Giornalisti, esperti di progettazione europea, prof, direttori di fondazioni di promozione artistica… Nuove speranze. Nuove competenze. Nuove proposte. Più moderne, internazionali, ottimistiche. Insomma, una sorta di purificazione necessaria per “svecchiare” la pur lodevole azione artistica del dimissionario Lavia, voluto da Alemanno, il sindaco di Destra, Lui, l’artista se non dichiaratamente di Sinistra, certamente non di Destra. Ora, che Ninni Cutaia sia, oggi come allora, persona di grande spessore artistico e professionale, non v’è dubbio. Dirigente del Mibac e già direttore generale dell’Eti – Ente teatrale italiano, è stato, fra l’altro, il responsabile del riconoscimento ministeriale a Teatro Stabile ad iniziativa pubblica del Teatro Mercadante di Napoli. E, da vero uomo di teatro, nel suo discorso “d’insediamento”, davanti agli addetti ai lavori tutti eccitati, non dimentica nessuno. E parla soprattutto di “coloro i quali, negli anni, hanno lavorato resistendo, con fatica e dolore… I lavoratori del Teatro di Roma, che vanno sostenuti e valorizzati e a fianco ai quali comincio a lavorare.” Un manifesto. Applausi e sguardi soddisfatti. Flavia Barca, assessore alla Cultura del Comune di Roma, è raggiante. Sottolinea, intervenendo, che, con le nomine dei nuovi Nuovi, si è voluto premiare l’onestà, la trasparenza, l’impegno e la competenza. Applausi e sguardi compiaciuti. Lidia Ravera, assessore alla Cultura della Regione Lazio, è soddisfatta anche lei, soprattutto per la pluralità di genere e di generazioni rappresentata nel nuovo CdA. Applausi e felicità. Insomma, la nomina è gradita al Palazzo e al popolo. E anche al Ministro del Mibact, Massimo Bray, e al direttore generale del ministero Salvo Nastasi, seduti in prima fila. Sorridenti e plaudenti. Dunque, cos’è successo, da quel maledetto giorno ad oggi? Solo ora ci si rende conto che Cutaia, funzionario dirigente ministeriale, non può, contemporaneamente, essere direttore di un teatro sul quale ha esercitato funzioni ispettive, partecipando a commissioni che decidevano anche gli stanziamenti dei fondi pubblici di pertinenza? La questione risulta strana. Sembra, piuttosto, una guerra di poltrone, appunto. Una guerra tutta di Sinistra, dalla più teoricamente rossa alla più sbiadita filogovernativa, che non trova pace nella spasmodica ricerca di una collocazione in una qualche stanza dei bottoni. Fossero anche solo dei bottoncini di madreperla per camicie di scena. Una guerra fratricida, sotto gli occhi del Sindaco Marino - quello della “rivoluzionaria, e come no?” sciarpa natalizia di luci ricchione su tutta via del Corso – che avrebbe voluto, a suo dire, promuovere, finalmente, l’Arte e la Cultura nella Capitale, ed è, invece, un anno che la sta tenendo sotto sale. Paralizzato in ogni decisione, conta, probabilmente, i giorni che gli mancano alla fine dell’incubo. Mentre i suoi recitano quotidiani requiem ai santi luoghi della Cultura.

A partire da quel Teatro Valle, ancora inutilmente occupato e fuorilegge, per finire al Teatro India, dimenticato e fermo, passando per le decine di spazi teatrali, che respirano a malapena grazie solo alla presenza benevola dei parenti e degli amici dei giovani attori che ci si esibiscono. Uno strazio che sta diventando, sì!, un funerale dell’Arte. Quella vera. Senza tessera di partito, né simpatie politiche. Né inutili costosi convegni.

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