Intervista a Marco Sacco: due stelle Michelin al Piccolo Lago di Verbania

Lo chef bistellato Marco Sacco: "Purtroppo nessuno dei tre però ha mollato il programma"

Intervista a Marco Sacco: due stelle Michelin al Piccolo Lago di Verbania

A un’ora da Milano c'è un luogo dove curiosi del cibo e appassionati gourmet si incontrano per viaggiare con i sensi e l’immaginazione. Si chiama Piccolo Lago, ed è qualcosa in più di un semplice ristorante. È una struttura di vetro e legno, un po' vetrina e un po' chalet, che si affaccia sul lago di Mergozzo, a Verbania. Qui abbiamo incontrato un maestro della cucina, un insegnante per tanti giovani aspiranti cuochi e un esperto nella creazione di nuovi piatti: lo chef Marco Sacco.

La sua cucina attinge dal territorio lacustre affondando le proprie radici nella tradizione piemontese, ma negli anni si è contaminata con quanto lo chef ha portato a casa dai suoi mille viaggi in giro per il mondo, sperimentando e osando con un coraggio che gli sono valse due stelle Michelin.

"Se si è da soli, non si riesce a combinare niente", ci racconta, "io sono un allenatore, e come fa un allenatore con la propria squadra, sono io che ho la responsabilità di ogni membro. Chi viene a lavorare qui, per me non è semplice manovalanza".

Il suo ristorante, infatti, è anche una "scuola di cucina", dove decine di giovani chef hanno imparato i segreti dell’alta cucina italiana e internazionale. Sacco è maestro fuori e dentro casa: giudice durante l’ultima selezione italiana del Bocuse d’Or (gennaio 2016), gira l’Italia e il mondo per importanti consulenze o perché chiamato a presidiare workshop e laboratori formativi.

Per lavorare nella sua cucina "ai ragazzi devono brillare gli occhi". Lo chef, per chi entra nei locali del Piccolo Lago, ha un progetto ben preciso: "Se vuoi restare solo un anno, è solo un'esperienza da inserire nel tuo curriculum; se resti per tre anni, allora c'è dietro un progetto di crescita. Se resti di più, vuol dire che vuoi restare qui tutta la vita".

Ed è quello che è successo alla sommelier del ristorante, la giapponese Sayaka Ansai, arrivata a Verbania per uno stage nel 1994, non è più andata via. "Le ho trovato marito, non è rimasta qui per me", scherza lo chef.

E proprio sul suo ruolo di maestro, ma anche di giudice, ci confessa un segreto che pochi sanno: "Io ero stato contattato da Sky per la prima edizione di MasterChef. Dopo Cracco, Barbieri e Bastianich, la prima riserva ero io, ma nessuno di loro ha mai mollato e non ho mai fatto questa esperienza".

A questo punto, viene automatico chiedergli se anche lui, come i suoi colleghi, getta i piatti nel bidone della spazzatura, quando un suo aiutante in cucina prepara qualcosa che non gli va a genio: "Quello che la scatola quadrata sforna, sono tutte balle. L'alta cucina è spettacolo. Quello che fanno i miei colleghi in tv è solo spettacolo, in una cucina non lo farebbero mai. Quello che vediamo a MasterChef è intrattenimento ed è molto meglio che guardare Porta a Porta".

Un consiglio però va dato ai tanti giovani che provano la strada dei talent culinari, cercando di saltare la gavetta: "Se fate la strada corta, il risultato non dura. Quella fama lì è un fuoco di paglia, ma dopo due anni finisce tutto".

Tanta stima, insomma, per i colleghi chef, un po' meno per chi si improvvisa cuoca in tv. Quando gli chiediamo un commento su Antonella Clerici o Benedetta Parodi, ci risponde sorridendo, distinguendo tra chi fa alta cucina e chi dà ricette alle casalinghe.

E visto che si parla di ricette, una battuta sulla querelle con i cugini francesi è d'obbligo. Ma questa carbonara lei come la fa? "Innanzitutto una premessa: in cucina devono poter convivere la tutela e la cura della tradizione e la voglia e la possibilità di innovare e sperimentare. La ricetta originale, o le versioni più antiche, devono essere difese e custodite, così come un bene artistico viene protetto in un museo o in un sito Unesco. Ma questo non vuol dire che non si debba dare la massima libertà di sperimentare, innovare o adattare al territorio con ingredienti nuovi".

Sì, ma la ricetta? "Qualche anno fa ho reinventato la carbonara attingendo agli ingredienti del territorio (il prosciutto di Vigezzo al posto

del guanciale o i piemontesissimi tagliolini al posto dei bucatini), ma anche osando: all'uovo ho aggiunto il gin, così si crea una salsa che deve essere il cliente a versare sul piatto una volta servito a tavola".

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