Nell'immaginario comune, Genova rimane una città dalla tradizione ribelle e operaia, la città rossa dei «camalli», che diede i natali a Mazzini e da cui Garibaldi mosse con i suoi Mille. Ma per esempio la presenza così socialmente e culturalmente rilevante di un cardinale come Siri, in un non lontano passato, deve metterci in guardia: è esistita una corrente reazionaria, partigiana del Trono e dell'Altare, una Genova nera parallela a quella mazziniana, anticlericale, radicale, che è meno conosciuta, e che oggi possiamo riscoprire grazie all'ottimo volume di Stefano Verdino intitolato Genova reazionaria (editore Interlinea, pagg.193, euro 20).
Verdino è uno studioso di letteratura a cui si devono importanti saggi sul Tasso e sulla poesia contemporanea, ed è curatore dell'opera omnia di Mario Luzi. Qui si fa abilmente storico della cultura, in un volume dalla documentazione sterminata, eppure di assoluta leggibilità. Veniamo così a sapere che nei primi decenni dell'Ottocento, mentre Genova attrae figure come Byron, Mary Shelley, Leig Hunt, Lady Blessington, una serie di uomini di chiesa, di pensatori, di scrittori, non necessariamente genovesi, lavorarono all'ombra della Lanterna contro le novità che venivano dalla Francia illuministica e rivoluzionaria e contro gli orientamenti liberali presenti nel Romanticismo. L'abate Paolo Vergani, lombardo con trascorsi illuministi passato al campo antiliberale e antidemocratico, ragiona, in una prosa diretta e nitida, su una Chiesa che è e deve essere «realmente intollerante» quanto più vuole difendere fede e verità. Luigi Lambruschini, che di Genova diventa arcivescovo, difende la tradizione con toni più barocchi.
Proseguendo nella lettura, ci imbattiamo in avventurieri del sapere come Francesco Ricardi, improbabile egittologo ed ebraista onegliese, in dotti barnabiti come padre Spotorno, editore di un reazionario Giornale Ligustico e nel gesuita Antonio Bresciani che durante il soggiorno genovese elabora la sua tirata contro il Romanticismo, con la fustigazione della «setta» dei Romantici e di quelle dei Liberali e dei Protestanti per il loro «sdegno» di ogni autorità. Una sfilata di reazionari e perdenti, che, come spesso i perdenti, hanno un loro eroismo che vale la pena riscoprire.
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