L’architetto delle curve che tirava sempre dritto

È morto a 104 anni il maestro brasiliano discepolo di Le Corbusier. Con linee avvolgenti ha ridisegnato il volto di molte città

The Pantheon of the Fatherland
The Pantheon of the Fatherland

L’architetto brasiliano Oscar Niemeyer, 104 anni, è morto ieri all’Ospedale Samaritano di Rio de Janeiro. L’architetto è stato il creatore di gran parte della futuristica capitale Brasilia e, tra l’altro, del sambodromo di Rio. Il suo corpo è stato cremato a Rio de Janeiro.Poi l’urna sarà trasferita a Brasilia.Oggi sarà se­polto a Rio de Janeiro, dove sono stati indetti tre giorni di lutto.

Giunge da Rio de Jane­iro la notizia della scomparsa di Oscar Niemeyer. Il grande architetto brasiliano, che ave­va 104 anni, era ricoverato in ospedale da maggio per un’inf­e­zione polmonare da cui non si è mai ripreso. Testimone eccezionale del ’900 e capace di rimettersi in di­scussione con il nuovo secolo, continuando a progettare fino all’ultimo, Niemeyer è stato al­lievo e discepolo di Le Corbu­sier, cofirmatario del Palazzo delle Nazioni Unite a New York, interprete originale del funzionalismo che ha sottratto alla rigidità e alla durezza del maestro,per virarla verso un’in­terpretazione calda e sensuale, influenzata dal clima e dall’am­biente latino- americano. Nella sua visione, più poetica che teo­rica, l’architettura non è soltan­to una macchina per abitare ma è espressione di un ventre molle mater­no, sviluppo di un disegno avvolgente e rotondo che si contrappo­ne all’ideolo­gia del cemen­to puro. Un materiale che certo Nie­meyer ha uti­lizzato molto, ma con un’im­maginazione e un movi­mento prima sconosciuti.
La sua sto­ria pullula di episodi glorio­si, culminata nella progetta­zione della megalopoli contempora­nea del Sud America, Bra­silia, progetta­ta insieme a Lucio Costa, urbanista vi­sionario e già suo vecchio maestro con cui nel 1939 aveva firmato il padiglione brasiliano al New York World Fair, ot­tenendo dal­l’allora sinda­co Fiorello La Guardia le chiavi della città. Di Brasilia Costa disegna la pianta ad ali spiegate e Niemeyer inse­ri­sce gli edifici simbolo del pote­re e di culto, come la celeberri­ma cattedrale iperbolidea. A commissionaria,siamo alla me­tà degli anni ’ 60, fu il presidente Juscelino Kubitschek, già sinda­co di Belo Horizonte dove l’ar­ch­itetto nel lontano 1940 realiz­zò il complesso di Pamphula, la cui costruzione più famosa fu la
chiesa moderna di San France­sco d’Assisi. Uno choc per le al­te sfere del clero che si decisero a consacrarla solo nel 1959.
Niemeyer incarnava la figura dell’architetto demiurgo,antici­patore delle contemporanee ar­chistar.
Era capace con un gesto di disegnare una città e il suo mo­dus operandi fu tanto adorato quanto criticato perché ritenu­to talora troppo autoritario e in­cline a servire il potere, mentre le sue abitazioni, belle all’ester­no, risultavano difficili da abita­re. Obiezione che pativa molto. Spesso diceva che l’ispirazione gli veniva dal corpo femminile­le d­onne sono sempre state in ci­ma alle sue passioni - che ama­va ra­ppresentare in schizzi e di­segni da considerare come vere e proprie opere d’arte. Decisa­mente meno brillante fu l’infa­tuazione per l’ideologiaco­munista, che gli valse l’in­condizionata stima di Fidel Castro e del mondo sovie­tico, oltre al progetto (pa­re gratuito) per la sede del Partito comu­nista francese a Parigi, e gli costò un lun­go esilio di vent’anni, fi­no al 1985, quando in Bra­sile governa­vano i milita­ri.
Molto signi­ficativo il rap­porto di Nie­meyer con l’Italia - la sua prima moglie era di origini padovane - a cominciare dalla casa edi­trice Monda­dori a Segrate, per continua­re con l’audi­torium di Ra­vell­o e di diver­si edifici indu­striali
come le Cartiere Bur­go in Piemon­te. Nel 1988 è insignito del premio Pri­tsker (il Nobel dell’architet­tura) e in età già avanzata disegna quel­lo che unani­memente vie­ne considera­to il suo capo­lavoro, il mu­seo­d’arte con­temporanea di Niteroi del 1996. Diceva spes­so: «quando la struttura è fat­ta, l’architettura è compiuta».

Dominava in lui l’aspetto strut­turale, poco teorico e molto pragmatico, che includeva nel­la riflessione il bello di vivere in un ambente ampio e in armo­nia con il paesaggio ( fondamen­tale in tal senso la collaborazio­ne con l’architetto di giardini Roberto Burle-Marx, ancora a Brasilia). Privilegiando curve e movimenti semplici ha tentato di ridisegnare il mondo. Ed è scomparso un gigante.

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