Un'accoglienza così non se l'aspettava nemmeno lui. Sono passate quarantotto ore dalla presentazione del Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia - una prima assoluta - e il cardinal Gianfranco Ravasi, che presiede il Pontificio Consiglio della Cultura, ha registrato grandi consensi per i tre artisti selezionati (i videoartisti di Studio Azzurro, il fotografo Josef Koudelka e il pittore Lawrence Carrol) e per il tema individuato (i primi undici capitoli della Genesi): «Mi ha stupito la quasi totalità degli apprezzamenti per questa esperienza. Temevamo anche il fuoco amico: ma la Curia Romana ha invece aderito compatta alla nostra iniziativa».
Avete preferito non aprire il dibattito sull'arte sacra e liturgica...
«Quella che presentiamo non è arte liturgica. Non chiediamo che una videoinstallazione possa essere messa nell'abside di una chiesa. Però l'itinerario che vogliamo fare, e di cui questa partecipazione alla Biennale è solo un primo passo, non esclude la possibilità di un intervento nell'interno del culto stesso. Abbiamo infatti attualmente un problema reale in merito all'arte liturgica. Non tanto per le chiese tradizionali, che hanno già il loro arredo, quanto piuttosto nel rapporto con la contemporaneità, che si è sviluppato soprattutto attraverso l'architettura».
Non vi soddisfanno gli esiti recenti dell'architettura religiosa, neppure quelli delle archistar come Richard Meier, Alvaro Siza o Massimiliano Fuksas?
«Il culto cattolico ha tutto un suo apparato che è indispensabile allo spazio sacro: pensiamo all'altare, l'ambone, il tabernacolo, le immagini. Tutto questo tendenzialmente l'architetto, che sia Meier o Siza, non lo considera. Il suo interesse va a linee, forme, luci, funzionalità. Manca l'interazione con gli artisti. Se entriamo in una chiesa barocca non vediamo alcuna discrasia. Oggi invece è impossibile dire a un architetto di interrogare uno scultore o di tenere presenti le necessità della liturgia».
Dunque la vostra presenza della Biennale individua un terreno d'intervento anche in questo campo?
«Vogliamo fare in modo che artisti con nuovi codici linguistici, con le loro modalità espressive e le loro grammatiche, ritornino a dialogare con i grandi temi religiosi, i grandi testi, le narrazioni e le figure che fanno parte della religiosità cattolica. È per questo che ho voluto consegnare agli artisti il testo sacro e non dei simboli».
La mera indicazione di un simbolo avrebbe lasciato troppa libertà?
«Vedevo il rischio di una genericità new age. Lo stesso Bill Viola, che era partito da acqua, luce, e altri elementi universali, ora produce Deposizioni. Occorreva stringere su di un testo sacro come la Genesi. Che costituisce sì una componente fondamentale della nostra esperienza religiosa, ma nel contempo resta il grande codice della cultura occidentale. Gli undici capitoli che abbiamo scelto rispondono a domande universali che tutte le religioni declinano, perché mettono al centro l'umanità».
Qual è la vostra posizione verso l'arte astratta?
«L'arte cattolica è di sua natura iconologica, prevede cioè le immagini. Se parteciperemo alle prossime Biennali, a un certo punto bisognerà proporre invece di un testo un soggetto. Il crocifisso, per esempio. Ma l'arte astratta, e la capacità di evocazione che ha in sé, è compatibile con l'arte liturgica. Penso per esempio alle vetrate di un amico artista, Valentino Vago, alle chiese di Barlassina o di Rovello Porro, in cui è intervenuto su edifici preesistenti. Esiste anche un non figurativo che possiede una precisa qualità mistica».
Prima ancora di svelare le vostre scelte si erano sollevate accuse di una distorsione di risorse che potevano essere destinate a opere di bene
«È vero, soprattutto sui blog e su Internet, prima ancora di sapere cosa volevamo proporre, si è sollevata un'ondata d'indignazione,
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.