Nel tempo in cui Venezia era il cuore della pittura europea, un artista irrequieto sino all'instabilità psicologica, vicino alla sensibilità religiosa e alla semplicità del popolo, decise di volgere le spalle alla Serenissima, rinunciando a sfidare Tiziano, per rifugiarsi nella provincia profonda dei domini veneziani, ai confini di questi con la Lombardia. Il suo nome è Lorenzo Lotto, e il luogo fatale in cui poté rivelare il suo talento è Bergamo.
Nel 1513 i frati domenicani legati al grande complesso monastico che stava presso Porta San Giacomo, da cui si ha accesso a Bergamo Alta, indicono una sorta di concorso per la pala destinata alla chiesa di Santo Stefano al Fortino. Lotto ottiene l'incarico, e il 15 maggio firma il contratto per l'allocazione di un grande dipinto per l'altare maggiore. A finanziare l'opera è Alessandro Martinengo, nipote del grande condottiero Bartolomeo Colleoni, capitano generale dell'esercito della Serenissima. Alessandro aveva sposato la nobile veneziana Bianca Mocenigo, e la stessa scelta del Lotto serviva probabilmente a rinsaldare il legame tra le due città. La pala è la più grande mai realizzata dal Lotto, cinque metri per due e mezzo, e dopo che Santo Stefano venne abbattuta nel 1561 per far posto alle mura veneziane è stata trasferita in San Bartolomeo, sul Sentierone di Bergamo Bassa (la predella è all'Accademia Carrara). Fingendo un'architettura bramantesca, Lotto decide di ambientare la Sacra Conversazione non sullo sfondo dell'abside, com'era usuale, ma mettendo i santi di spalle al colonnato della navata, come una sacra rappresentazione che proceda verso l'altare. La luce che piove dall'alto attesta l'imprinting squisitamente veneziano, che procede da Giovanni Bellini, virato però ai timbri lombardi di Vincenzo Foppa, mentre i due angeli che si affacciano dalla balaustra costituiscono probabilmente una citazione della Camera degli Sposi del Mantegna. È il primo passo di una vera e propria rivoluzione arcaizzante che Lotto metterà in atto in tredici anni di permanenza a Bergamo. Il suo linguaggio rifiuta le acquisizioni che procedono da Giorgione e Tiziano, e trova rifugio in un'espressione che sembra guardare a Gaudenzio Ferrari, alla sua ricchezza aneddotica, filtrata da un sensibilità nordica, frutto della conoscenza della pittura di Holbein e Dürer.
Sulla direttrice che dalle valli Seriana e Brembana portava sin dentro le mura, sulla via Pignolo, la strada abitata dalla nuova borghesia cittadina, nella piccola chiesa francescana di San Bernardino, Lotto nel 1521 lascia il più sorprendente dei suoi lavori bergamaschi. È una Madonna con Bambino e Santi. Non è più un edificio religioso a contenere la scena: al suo posto c'è un tendone da campo, da sagra paesana, tirato da quattro angeli equilibristi, che tentano in qualche modo di proteggere dal sole la Vergine. Tecnicamente è ancora una Sacra Conversazione, ma guardate i gesti, sembra più una discussione al mercato. Su un telaio contiguo prende intanto forma intanto la terza pala, per Santo Spirito, che i Bergamaschi chiamavano chiesa dei Tasso, dal nome della famiglia che l'aveva restaurata a inizio Cinquecento, e che commissionarono il dipinto. Qui, da grande raccontatore assuefatto al vernacolo, Lotto ci mostra un agnello che sembra volersi liberare dalla stretta troppo affettuosa del San Giovannino.
Non contento di essersi spinto sino ai confini della Terra di Venezia, Lotto individua un contesto ancora più appartato per dare vita a una sua versione strapaesana della pittura di storia di Raffaello, contemplata prima di lasciare Roma. A Trescore Balneario, nell'oratorio della famiglia Suardi, nel 1524, trascorre l'estate affrescando l'immagine di un grande pergolato, fatto di quei tralci che prendono l'abbrivio dalle dita del Cristo, la vite. Il programma iconografico, che contempla le Storie delle Sante Caterina e Maddalena in controfacciata, e le Storie di Santa Brigida e Santa Barbara sulle due pareti, è estremamente complesso, scandito da profeti e sibille. Ma Lotto lo risolve con una vena popolare e pragmatica, che anticipa la pittura didascalica della seconda parte del secolo, e che sembra ancora una volta ispirata a modelli provenienti da oltre le Alpi. E dopo aver prodotto nel cuore di Bergamo i disegni per gli intarsi del coro in Santa Maria Maggiore e le spartane Scene della vita di Maria in San Michele al Pozzo Bianco, allo scadere del suo soggiorno orobico si spinge a Ponteranica, all'imbocco della Val Brembana, dove la Scuola del Corpo di Cristo gli commissiona un polittico in sei scomparti, non dissimile nel modulo da quello che Tiziano aveva appena realizzato per la chiesa di San Nazaro e Celso a Brescia.
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