A Reggio Calabria ancora oggi qualcuno dice che i Bronzi siano tre. Il Bronzo A, quello B e Stefano Mariottini, il sub che li scoprì il 16 agosto del 1972. Una battuta che nasconde molti interrogativi, come in ogni storia italiana. C'è chi sostiene che le statue fossero realmente più di due, almeno sette come i Sette contro Tebe, uno dei quali rappresenterebbe Polinice, il figlio di Edipo «non sepolto» perché traditore della patria. C'è chi dice che qualche statua sia stata trafugata dalla ndrangheta e sia finita in una collezione privata. Ma che siano eroi o traditori poco importa. Ormai i Bronzi sono un simbolo della Calabria, figli mai sepolti di una memoria magnogreca difficile da archiviare come passato. Come nel 1998, quando il governo volle duplicarli. Un golpe contro la storia scongiurato da un articolo del settimanale Le Calabrie diretto da Franco Albanese (ad opera dello scrivente), idea balzana che ciclicamente ritorna a galla per poi affondare. O quando l'artista Gerald Bruneau li trasformò indisturbato in icone gay.
Come ogni estate Mariottini è a Monasterace, in Calabria, a fare immersioni a caccia di tesori. È reduce da un piccolo infortunio. Incerti del mestiere, anche se Mariottini non ci tiene a dirlo, sono più di 35 anni che regala il suo tempo libero allo Stato. La sua associazione di volontari collabora dagli anni Ottanta in progetti di ricerca della Soprintendenza, dove è di casa, esclusivamente in Calabria, come nella cava costiera per la coltivazione di macine cilindriche di grandi dimensioni a Soverato «di cui ha parlato Linea blu qualche giorno fa», dice con orgoglio. «La mia passione per l'archeologia è stata coltivata sui libri. Nel 1964 sono venuto per la prima volta a Monasterace a studiare con un collega per preparare un esame ed ho fatto le prime immersioni. È lì che le due passioni si sono naturalmente coniugate. Il rinvenimento dei due Bronzi ne è stato il coronamento».
Già, i Bronzi. Era il 16 agosto 1972, quasi a mezzogiorno. Mariottini faceva pesca subacquea a Riace. «Cercavo scogli isolati dove il pesce non fosse disturbato. Ne ho trovato un gruppo quasi circolare con al centro della sabbia. L'acqua era limpida, quasi trasparente. Ho visto una spalla. Ho capito subito che era una spalla e non un sasso qualsiasi perché l'anatomia dei bronzi è così precisa... Per un attimo ho pensato che fosse un cadavere. Era verde scuro. L'ho toccato. Ho iniziato a fare su e giù in apnea, spolverando la sabbia che lo copriva. Ho visto che era una statua intera sepolta nel fondale marino con il lato destro leggermente girato verso il fondo. Ho visto i capelli, la tenia (benda ferma-capelli, ndr), il viso coperto da concrezioni, sassolini e sabbia». A pochi metri l'altro Bronzo. «Mentre mi immergevo ho visto un ginocchio e un alluce a circa un metro di distanza. Ho fatto un'altra capriola e l'ho scoperto, era supino, coperto da qualche centimetro di sabbia. In un attimo l'ho visto, dalla testa ai piedi, in tutto il suo splendore. La muscolatura, il particolare delle ciglia e le palpebre fatte con i filetti di bronzo...».
Alla Sovrintendenza, alle due di pomeriggio del giorno dopo Ferragosto, non risponde nessuno. Mariottini capisce che il tempo stringe, chiama a casa l'incredulo Sovrintendente dell'epoca, Giuseppe Foti, che a verbale annota con penna rossa di essere stato avvertito telefonicamente alle ore 21 del 16 agosto 1972. «Foti mi ha invitato il giorno seguente ad andare al museo a formalizzare la denuncia, scritta con la sua macchina da scrivere». E pochi giorni dopo è partita l'attività di recupero.
E qui il mistero si infittisce. Qualcuno dice che avrebbero avuto delle armi, sicuramente entrambi un elmo «di cui uno alzato verso la nuca», due scudi di legno «rivestiti con lamina di bronzo» e secondo gli studiosi d'arte uno spadone e una lancia, «presumibilmente di legno con la punta in bronzo», sottolinea Mariottini. Qualcuno dice che la firma dell'autore fosse proprio negli elmi spariti e che le armi siano state rubate, «ma i restauratori del Museo archeologico di Firenze hanno detto che se ci fossero state, probabilmente sarebbero state staccate nel momento del caricamento sulla nave che le trasportava» anche se ad esempio «il maniglione di ancoraggio alla mano di uno dei due scudi è stato trovato successivamente». Anche sulla provenienza, ancora oggi, è buio pesto. C'è chi sostiene che siano stati fatti a Reggio, città che al tempo delle statue batteva conio. «Forse è un bottino di guerra raccolto in Grecia destinato a Roma come antiquariato. L'autore? Policleto, forse Fidia ma dovremmo parlare di più autori, l'artista che ha fatto il modello di argilla, il fonditore...». Sembra paradossale, ma questo ritrovamento ha anche cambiato la storia dell'arte e del restauro. «Mai fino ad allora gli storici avevano avuto a disposizione esemplari unici e integri e con queste straordinarie proporzioni - dice Mariottini e gli si accendono gli occhi - e prima del loro rinvenimento non c'era conoscenza tecnica delle attrezzature o del restauro di statue di grandi dimensioni». E qui è anche merito del Mariottini manager l'aver contribuito al primo restauro del 1992, finanziato dalla «sua» Finmeccanica, in cui «venne eseguito, se così si può dire, uno scavo archeologico all'interno di un reperto».
Il Mediterraneo è un enorme contenitore pieno di Storia da scoprire, eppure dopo il Satiro e la Zampa d'elefante non ci sono più state scoperte eclatanti. «Ma sepolte ci saranno migliaia di statue sommerse, navi greche e romane, anfore, reperti con cui si potrebbero riempire i musei». Peccato che la figura professionale dell'archeologo subacqueo sostanzialmente non esista. «Non mi sembra sia stata riconosciuta nei ruoli ministeriali». Ci vorrebbe «un nucleo specializzato e centralizzato come avviene ad esempio con il Cnrs in Francia», vecchio pallino di Mariottini, dove «c'è un'unica nave che esegue prospezioni archeologiche subacquee su tutte le coste. Manca un'organizzazione complessiva, ora che la gestione dei musei è stata affidata a manager è sperabile almeno che le cose migliorino». Il suo più grande rammarico è vedere laureati in Archeologia «fare lavori che non ripagano gli sforzi affrontati», financo il cameriere. L'ultima battuta per questo eroe silenzioso che combatte sott'acqua e senza armi - come le «sue» creature - per rilanciare l'archeologia in Italia è proprio sui Bronzi, con la voce che s'incrina: «Li vado a trovare spessissimo, ogni volta incontro un gran numero di visitatori».
È la risposta a chi dice che la Calabria non merita i suoi Bronzi, ed è la conferma che spesso questa regione ostaggio della 'ndrangheta è costretta ad aggrapparsi a qualche forestiero per rinascere. È un argomento complesso. Chiedere ai figli di Edipo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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