"Ora riesco a vedere la mia immagine riflessa nel lunghissimo specchio dalla cornice dorata, quello appeso in alto, lungo la parete opposta. Noto soprattutto i miei capelli, talmente gonfi e spettinati da far apparire la mia testa molto più grande di quanto non sia davvero. Il volto non si distingue bene, ma in ogni modo non somiglia al mio, è attraversato da strisce scure, come quello di un selvaggio, o di un demonio delle foreste". A parlare è Rika, una ragazzina di diciassette anni che, insieme alla madre e alla sorella più piccola, viene in Italia per un tour di qualche giorno. Nel giro di qualche ora, però, quello che avrebbe dovuto essere un viaggio di piacere diventa un vero e proprio incubo. A raccontarlo con ritmo incalzante e avvincente è Mario Vattani che, dopo i bellissimi Doromizu - Acqua torbida e Al Tayar - La corrente, torna in libreria con un romanzo riuscitissimo edito da Idrovolante.
Rika è un romanzo diverso dai primi due. Si attinge da un caso di cronaca avvenuto a Roma. Cosa l'ha spinta, a distanza di dieci anni, a scriverci su un libro?
"Quando venni a conoscenza dell’episodio su cui è basato Rika, nel 2011, ero consigliere diplomatico del Sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Per lui il mio ruolo andava ben oltre quello solito, di responsabile delle visite internazionali o dei contatti con le Ambasciate, gli istituti culturali e le accademie. Qualsiasi cosa che riguardasse gli stranieri a Roma passava per il mio ufficio: dai rapporti con le comunità straniere, alle disavventure dei turisti, inclusi furti e violenze. Così quando vi fu notizia dell’aggressione a Trastevere ai danni di una giovanissima turista giapponese, venni coinvolto anch’io. Anche se non incontrai mai quella ragazza, il suo coraggio e la sua determinazione mi colpirono enormemente, e da quel momento cercai sempre un’occasione di raccontarlo nel modo giusto."
Il racconto è in prima persona, ma dal punto di vista di una donna: la vittima. Come è stato calarsi in quei panni?
"Per poter far vivere la storia ai lettori nel modo più vivido possibile, dovevo prima di tutto imparare a conoscere Rika, e dovevo conoscerla a Tokyo, per poi portarla a Roma. Doveva essere una giovane come tante altre, non un’esperta di arti marziali, non un personaggio da film d’azione. Scrivere in prima persona femminile è stata un’esperienza completamente nuova, ma grazie a questo stratagemma adesso Rika esiste davvero, ed è vera perché in lei c’è una parte di tante ragazze che ho conosciuto in Giappone, ma anche delle donne che sono intorno a me nella mia vita, che siano figlie, madri, mogli, sorelle, amiche. In un momento in cui si parla molto di violenza contro le donne, in realtà il comportamento di Rika è un esempio per tutti noi, non solo per le ragazze."
Lo stile, che ha adottato in Rika, è sempre avvincente ma è molto cupo. Eppure, senza spoilerare il finale, possiamo dire che è un inno al coraggio?
"Volevo che lo sfondo, la scena in cui si muovono i personaggi di questo romanzo, fossero un mondo buio, brutto, senza speranza. E infatti tutti i personaggi, anche quelli che appaiono solo per pochi fotogrammi, sembrano prigionieri del ruolo che si sentono costretti a interpretare. Questo è il nostro mondo, il trionfo della futilità e del narcisismo, del degrado, del disordine, del compromesso. Ma non Rika. In questa oscurità lei brilla di una luce speciale. Perché lei si sta trasformando, vuole trasformarsi, non vuole cedere, non vuole arrendersi. E quella che all’inizio è solo un’intuizione, un gioco, diventa improvvisamente la lotta più importante della sua breve vita. Allora in mezzo a tutta quella violenza il coraggio di Rika è quello vero, quello fisico, quello decisivo, quello di non cedere mai più, anche a costo della vita."
La trama non è tutta ambientata in Italia. La prima parte del romanzo è infatti un giro di montagne russe per i quartieri di Tokyo. Si torna così in Giappone, ancora una volta. Dove nasce questo suo amore?
"Il mio amore per il Giappone cambia sempre, come cambia la mia personalità ogni volta che esco dalle nuvole e mi ritrovo su quelle isole. Si ricomincia sempre, e se nel mio primo romanzo Doromizu il lettore poteva servirsi del protagonista narrante per visitare la Tokyo profonda, attraverso gli occhi di uno straniero, stavolta l’esperienza è molto più intima, perché gli occhi sono quelli giapponesi. Rika è una delle ragazze che si incrociano nelle strade di Doromizu, per un istante. Io non volevo raccontare la Tokyo che conosciamo noi da turisti, ma quella della periferia, dove da visitatori non avremmo mai motivo di andare, quella più vera insomma, che si impara solo vivendola. Anche la Roma che Rika guarda, e che così anche noi rivediamo, non somiglia per niente alla nostra. Non ci sono i filtri che ai nostri occhi la rendono così attraente, così ricca di colori e di sapori. È una Roma sfatta, sporca, falsa e bugiarda. Perché Rika ha uno sguardo neutro, privo di interesse, ha altre cose per la testa, sta vivendo la sua avventura. Lei, una ragazzina di Tokyo Est, paradossalmente si trova di colpo su un piano superiore, e noi tutti, con le nostre meschinerie, siamo al massimo degli ostacoli sul suo cammino."
Cosa le manca di più del Giappone e soprattutto della cultura giapponese?
"Gli estremi, i contrasti. La parola data, la responsabilità. Il non lamentarsi, la dignità che impedisce di fare la vittima. Mi manca essere circondato dal rispetto di se stessi e degli altri, dalla severità. Ma poi anche il modo di divertirsi e di giocare, quasi ingenuo, senza dover per forza dimostrare qualcosa agli altri. Mi manca quella voglia di dare il meglio di sé senza prendersi sempre sul serio, senza pensare sempre a cosa fanno gli altri, senza indignarsi e lamentarsi in continuazione."
In Italia sono di moda, ormai da anni, la cucina e i tatuaggi giapponesi. Ne comprendiamo davvero il senso?
"La cucina giapponese, anche se all’apparenza così diversa, ha due componenti chiave che la rendono molto simile alla nostra: la fedeltà al sapore originale degli ingredienti, e l’armonia con le stagioni. Quindi non deve stupirci che quei sapori riescano a convincere e incuriosire il palato degli italiani. È vero, anche il mondo delle immagini giapponesi, che siano fumetti, manga o tatuaggi, sta avendo un grande successo in Italia. C’è però una fondamentale differenza tra il modo di vivere il tatuaggio in Giappone e in Italia. Da noi prevale l’ostentazione, mentre nel Sol Levante il tatuaggio rimane coperto, privato, invisibile. È un segno per sé stessi, un dovere a cui non si vuole sfuggire, oppure è la fedeltà a una promessa, o il ricordo della propria diversità."
Qual è l'acqua torbida dei nostri giorni? C'è qualcosa che non va nella nostra società? Qual è la corrente che ci sta trasportando?
"Rika è anche un messaggio per i giovani. Per questo l’ho voluto dedicare a mia figlia. Il loro rischio oggi è perdersi nelle distrazioni della rete, farsi turlupinare da influencer, falsi maestri che si presentano con grandi soluzioni ma in realtà guadagnano sulla gioventù dei nostri ragazzi, sui loro sogni e quindi sul loro futuro. L’acqua torbida oggi è una truffa generalizzata ai danni dei nostri giovani. Vi assistiamo quotidianamente su internet, una corsa per avere più like, essere seguiti, e quindi guadagnare. Ho l’impressione che la scuola non insegni ai ragazzi i mezzi per distinguere il vero dal falso, per separare ciò che ha valore da ciò che è sciocco e dozzinale. È questa, credo, la corrente che ce li sta portando via, come un pifferaio che ha mille volti.
Vorrei che come Rika, magari non in modo così estremo, i ragazzi imparassero ad andare davvero contro corrente, a promettersi qualcosa e a non tradirlo, a non tradirsi mai. Penso che il coraggio di essere se stessi sia una potentissima arma di difesa contro un mondo sempre più cinico, sempre più conforme."- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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