È un piccolo disegno a carboncino, una tecnica antichissima che consente di ottenere effetti di sfumato molto curati, giocando su di una gamma intera di grigi. Rappresenta una donna nuda, dai tratti che in qualche modo possono richiamare quelli della Monna Lisa. Sino a oggi è stato guardato con interesse relativo dagli storici dell'arte. Ma oggi, a due anni dalle celebrazioni per il cinquecentenario nella morte di Leonardo, è diventato improvvisamente un reperto preziosissimo, indiziato di essere addirittura un autografo del genio di Vinci, come titolano nelle ultime ore i quotidiani francesi. È conservato infatti nel Musée Condé di Chantilly, a Nord di Parigi, raccolta famosa soprattutto per la collezione di miniature medioevali, tra cui il codice delle Très riches heures du Duc de Berry, quello che ispirò L'autunno del Medioevo di Johan Huizinga. Ma dal castello del Duca d'Orleans è stato trasferito nei laboratori del Centre de Research et de Restauration des Musées de France, struttura interno al Louvre. «In gran segreto», scrivono i giornali transalpini, ma in realtà l'operazione è stata studiata con grande attenzione dal punto di vista mediatico: nel 2019 il Domain di Chantilly -come metà delle istituzioni museali europee- ospiterà una mostra dedicata a Leonardo. E quale miglior lancio che possedere all'interno della collezione un capolavoro del maestro? La rassegna si titolerà Monna Vanna, che è poi la titolazione più appropriata di quella che in queste ore le agenzie stampa di mezzo mondo si sono affrettate a ribattezzare con la titolazione di Joconde Nue, Gioconda Nuda.
Il disegno, che è stato realizzato su di un doppio foglio incollato, per una dimensione complessiva di 72x54 cm, ricorda infatti un dipinto che venne realizzato da Gian Giacomo Caprotti detto il Salaì, allievo e uomo di fiducia di Leonardo, oggi al centro di una vera e propria riscoperta anche grazie alle finzioni letterarie della coppia di romanzieri Monaldi&Storti. Il Salaino realizzò attorno al 1515 quella che è tradizionalmente considerata una parodia della Gioconda, un pastiche di intonazione erotica, in cui viene ritratta una donna discinta che fisiognomicamente richiama la Lisa Gherardini immortalata nel capolavoro di Leonardo che sta al Louvre, e che però secondo alcuni studiosi nello stesso tempo avrebbe alcune caratteristiche dello stesso Caprotti. Questo quadro è appunto chiamato convenzionalmente Monna Vanna. Nel 2000 lo studioso americano David Brown scrisse che probabilmente l'opera del Salaì è una copia da un originale perduto del genio di Vinci, realizzato per Giuliano De Medici. A questa fragile ipotesi si attaccano ora gli studiosi francesi, nel voler riconsiderare alla luce delle più aggiornate tecniche diagnostiche il foglio del Museo Condè. Le analisi al radiocarbonio, che fanno parte della campagna di diagnostiche in corso da qualche settimana a Parigi, avrebbero confermato che il disegno è compatibile con una datazione compresa tra il 1485 e il 1638. Un arco di tempo molto ampio, che di fatto escluderebbe soltanto che si tratti di una derivazione tarda o di un falso, ma che è comunque già qualcosa, dal momento che il foglio non è documentato prima dell'Ottocento. Sembra inoltre che alcuni pentimenti confermino che si tratti di un originale e non di una copia. Ma da qui a parlare di «mano di Leonardo», come ha fatto Le Figaro, ne passa, anche in considerazione del fatto che oltre alla Monna Vanna del Salaì esistono circa una ventina di redazioni diverse di questo soggetto, nessuna delle quali presenta patenti caratteristiche qualitative tali da elevarla ad autografa.
Resta poi un'altra questione. Se si mettono a fianco la Monna Vanna e il Giovanni Battista di Leonardo, sua opera tarda (anch'essa conservata al Luovre) che sfrutterebbe come modello proprio il Salaì, ci si accorge che la Gioconda Nuda potrebbe benissimo essere a sua volta un autoritratto dell'allievo. L'evidenza è alla base anche del romanzo Una notte con la Gioconda, in cui Gianni Clerici -il libro è del 2008- ha immaginato che la stessa Monna Lisa non raffiguri la Gherardini ma il Caprotti. Finzione a parte -ma c'è anche una tesi, sostenuta da Silvano Vinceti, secondo cui negli occhi della Gioconda si leggerebbero proprio le lettere S e L, dove S starebbe per Salaì e L per Leonardo- tutta la questione della Monna Vanna ruoterebbe attorno alla possibilità che il Salai ne abbia fatto un testo pittorico allusivo al suo rapporto erotico con Leonardo. Ipotesi già di per sé avventurosa, ma che a parti rovesciate, ossia come attestazione della passione del maestro per l'allievo, suona ancor più improbabile. Restano le parole di Bruno Mottin, restauratore del Louvre: «In questa fase dobbiamo essere molto prudenti. Lavorare su questo disegno è estremamente complesso, perché è molto fragile.
Lo schizzo che compare vicino alla testa è stato fatto da un disegnatore che usava la mano destra, mentre Leonardo operava con la sinistra». Il re è insomma nudo, proprio come la Gioconda. Ma anche le evidenze contano poco, quando di mezzo c'è un cinquecentenario.
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