Se Roma piange la crisi, Parigi - come è noto - non ride, preoccupata per la recessione incombente e per un Hollande che, caso inedito per i transalpini, ha annunciato persino tagli alla cultura. Eppure non è certo aria di depressione quella che respirava i giorni scorsi nella storica Biennale parigina degli antiquari, anche quest’anno puntualmente celebratasi tra le mura del Gran Palais. Anzi, se possibile, la kermesse che si è appena conclusa e che ha come di consueto attirato alla Ville Lumiere collezionisti da tutto il mondo, si è rivelata quantomai votata allo sfarzo. Prova ne è stata l’allestimento commissionato al kaiser della moda Karl Lagerfeld e la presenza, nel cuore della mostra che ha radunato 122 espositori prevalentemente francesi, delle più prestigiose maison di gioielli del pianeta: vale a dire Piaget, Cartier, Dior Joaillerie, Wallace Chan, Boucheron, Chaumet, Harry Winston, Chanel Joaillerie, Van Cleef & Arpels, Bulgari. Erano proprio loro, il gotha dell’oreficeria mondiale, ad avere il posto d’onore all’interno di una Biennale per tradizione votata all’antiquariato. «In Francia, il lusso è in una fase in cui performa al meglio e alla Biennale i brand moderni si sono allineati al concept dell’allestimento, che è quello di un’esposizione internazionale francese del XIX secolo» ha commentato lo stesso Lagerfeld che ha firmato mla sontuosa scenografia al Gran Palais ispirata ha preso ispirazione alle gallerie parigine di fine Ottocento («in realtà - ha detto - mi sono semplicemente ispirato all’architettura di Parigi, partendo dall’Esposizione Universale di inizio ‘900»). Un inno al lusso e alla grandeur, dunque. Non che mancassero le più colte gallerie francesi, tra pittura, oggettistica, tappezzeria, scultura, grafica, tappeti, monete antiche, libri e manoscritti, disegni, ceramica e gioielleria, a coprire almeno 1000 anni di storia. Come quella capitanata da monsieur Christian Deydier, presidente del Syndicat National des Antiquaires, premiata associazione che ha fondato la Biennale più di mezzo secolo fa. Ma mai come questa volta gli stand che esponevano collier e parure a sei zeri, sono stati presi d’assalto dai visitatori e dai collezionisti del lusso. «È la riprova - dice uno dei pochi galleristi italiani presenti in fiera - del fatto che proprio in tempi di crisi chi ha tanto liquido da investire preferisce beni rifugio sicuri. E certo un diamante di Cartier infonde più sicurezza di una veduta del ’700...». La seconda spiegazione è quella che vede, nel pubblico degli acquirenti delle grandi fiere d’arte internazionali, la sempre maggior presenza di nuovi ricchi provenienti dalle economie emergenti del continente asiatico, ma anche dai Paesi arabi, questi ultimi tra i più sensibili al fascino dell’alta gioielleria. Deydier, direttore di questa edizione nonchè sinologo di fama internazionale, difende le sue scelte e il blasone di una fiera che anche quest’anno ha attirato oltre 100mila visitatori e ha fatto registrare vendite importanti anche nell’arte antica: «Il primo obbiettivo della Biennale des Antiquaires resta quello di valorizzare il ruolo delle gallerie antiquarie e in generale di noi professionisti - spiega il Presidente del Syndicat National des Antiquaires - il nostro è un sindacato a tutti gli effetti e non un ente fieristico! Il nostro obbiettivo non è l'incasso dagli stand! E questa manifestazione dovrebbe aver tolto ogni dubbio in tal senso per la magnificenza dell'allestimento di Karl Lagerfeld e per l'imponenza dello sforzo organizzativo. Abbiamo coinvolto al massimo il potenziale comunicativo delle grandi maison di gioielleria, a fare da cassa di risonanza all'evento perché vogliamo che sia sempre più chiara la differenza fra noi antiquari e le case d'aste, ad esempio. Chi si rivolge a un antiquario -sia esso un collezionista privato, una banca o un museo- sa di avere la garanzia di un investimento corretto sia in termini culturali e di opportunità relative alla filosofia della collezione, sia in termini economici. Per questo il nostro settore, quello di noi galleristi antiquari è un mercato che conosce un solo tipo di crisi: la mancanza di oggetti. Ecco perché la nostra è una ricerca continua. Se c'è l'oggetto importante, imperdibile, si vende! La Biennale in tal senso è per tutti noi una grande sferzata di energia!». E a proposito di vendite non sono certo mancati i grandi affari che hanno visto protagonisti anche i pochi antiquari italiani selezionati dal protezionistico sindacato per l’altissima specializzazione. Come la fiorentina Galleria Moretti Fine Art specializzata nei fondi oro di Tre e Quattrocento che ha venduto un trittico devozionale del XV secolo a 900mila euro. O come la Galleria Tornabuoni che a Parigi vanta ormai una consolidata presenza in virtù della sede in Avenue Matignon che rappresenta il meglio dell’arte made in Italy del Dopoguerra. Per la sua seconda partecipazione alla "Biennale des Antiquaires", Michele Casamonti ha scelto di presentare dieci capolavori di provenienza museale, ovvero un capolavoro per decennio, tra cui spiccava un eccezionale olio di Picasso del 1919 intitolato Vaso, Pipa, Pacchetto di Tabacco. Ghiotto, comunque il borsino delle compravendite. Tanto per citare altri casi, soltanto nelle prime due serate la storica Galerie Vallois, specializzata in Art Déco, ha venduto un secrétaire di Jacques-Emile Ruhlmann e una lampada di Eileen Gray.
L&M Arts ha trovato invece acquirenti per Concetto Spaziale, Attese (1968) di Lucio Fontana e due mobili-scultura dell’archi-star Peter Marino per 130.000 e 250.000 euro. Un importante collezionista europeo, infine, ha acquistato da Galerie Applicat-Prazan Fond noir aux traits (1952) di Serge Poliakoff. Ma per molti l’importante è stato solo poter dire: c’ero anch’io.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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