La riflessione sul classicismo è alla radice del Manierismo e produsse gli esiti più sconcertanti e modernisti a Parma, grazie alle innovazioni introdotte da Correggio e Parmigianino. Tra il 1519 e il 1523 registriamo un momento di confronto diretto tra i due pittori, in virtù del quale Girolamo Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, compie un salto della specie, introducendo un'idea nuova di funzione dell'arte, che sotto la sua pennellata diventa un modo di suscitare sensazioni di grande raffinatezza, non esperibili in natura, attraverso il sistematico e deliberato ricorso all'artificio stilistico. Il contenuto del soggetto di un dipinto o di un affresco, per la prima volta sembra valere meno del risultato estetico, e non aspira in alcun modo a imitare, e nemmeno a parodiare, la realtà.
Appena rientrato da Roma nel 1519, nella decorazione dell'appartamento della badessa di San Paolo, Correggio riesce a mediare l'illusionismo di Mantegna e la cultura classica, introducendo nel Nord Italia l'armonia compositiva che la Scuola di Raffaello aveva espresso nella decorazione della Loggia di Psiche alla Farnesina. Parmigianino risponde a stretto giro con le pitture di Fontanellato, dove nel salotto della Rocca dei conti San Vitale lascia alla vigilia della sua partenza per Roma (1524) un ciclo di affreschi incentrato sulla Leggenda di Diana e Atteone. Riprende qui l'idea del pergolato adottato da Correggio a San Paolo, e vi ambienta una storia carica di raffinata sensualità, arrivando probabilmente a raggiungere, in un contesto defilato e in definitiva provinciale, il risultato a cui aveva puntato pochi anni prima il Duca Alfonso d'Este commissionando a Tiziano i Baccanali per il suo studiolo. La forma di bellezza che si respira in queste pitture è destinata a una fruizione privata, intima, in qualche modo segreta. E la nuova forza del linguaggio grafico punta a un'accentuazione, un'esasperazione finanche, della grazia di ciascuna figura. C'è ancora in Correggio la matrice del naturalismo leonardesco, che nel Parmigianino va del tutto persa. I volumi si ammorbidiscono, il segno è straordinariamente fluido, lieve, veloce.
Dopo il Sacco di Roma, Parmigianino si stabilisce nel 1526 a Bologna. Ha intanto arricchito il suo arsenale tecnico di un modo straordinariamente mobile di fare i contorni, e sembra ormai dipingere come disegna, con sempre più libertà formale. Il colore, spesso dissonante, viene intrecciato al segno come il filo di un arazzo. Quando si osservano la Madonna della Rosa o la Madonna di San Zaccaria, non si può non convenire con Vasari, che scrive: «Chi volesse imitarlo non farebbe altro che un'esagerazione del suo stile». L'idea di bellezza e di grazia in questi dipinti arriva a un punto di astrazione quasi insostenibile, che Parmigianino regge solo grazie al dominio assoluto del disegno.
Nel 1530 torna finalmente a Parma, dopo che Correggio ha lasciato la città, a seguito delle critiche mosse agli affreschi nella cupola del Duomo. Parmigianino, rimasto senza rivale, viene contattato dai fabbricieri della Madonna della Steccata, che gli affidano la decorazione ad affresco dell'abside nella cappella maggiore e del sottarco sul presbiterio, per cui viene scelto il tema delle Vergini sagge e vergini stolte. Il compenso è di 400 scudi d'oro, e l'opera va completata in diciotto mesi. Parmigianino realizza solo il sottarco, dando vita a una fastosa decorazione scandita in quattordici lacunari impreziositi da rosoni in rame dorato, e abbelliti da grottesche che illustrano un campionario di fauna e vegetazione legata associata ai quattro elementi. Sulle linee d'imposta sistema sei fanciulle, tre per lato, che reggono due lampade accese (le vergini sagge) e due spente (le vergini folli), mentre portano sul capo vasi colmi di gigli. Le figure segnano l'adozione di una maniera meno effervescente e più sobria, quasi che l'artista cerchi una nuova misura morale, ispirandosi all'antico, alla pittura romana e greca, reinventata attingendo ancora una volta al ricordo delle decorazioni romane di Raffaello. Ma i lavori si protraggono troppo a lungo, interrotti da altre commissioni e dall'interesse per l'alchimia, forse originato dal tentativo di produrre l'oro da utilizzare direttamente nella decorazione. I fabbricieri concedono inizialmente una proroga, poi chiedono la restituzione di 225 scudi, infine ottengono la carcerazione del pittore per due mesi.
Uscito di prigione, il Parmigianino ripara a Casalmaggiore, in terra di Cremona.
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