«Pensiero debole o realismo? Solo mode, io sto con Colli»

«Pensiero debole o realismo? Solo mode, io sto con Colli»

Verrebbe quasi la tentazione di definirlo un filosofo d'essai, se l'espressione non suonasse vagamente ridicola (si presuppone che ogni filosofo sia «per sapienti»), e se non evocasse il cinemino fuori mano, il film afghano con sottotitoli. Giorgio Colli (1917-1979), lontano dalle correnti di pensiero in voga, è il perfetto caso di pensatore importante ma poco citato. La sua influenza è stata immensa: pensiamo alla prima edizione critica delle opere di Friedrich Nietzsche, curata con l'allievo Mazzino Montinari, che causò la rottura con Einaudi e la nascita di Adelphi nei primi anni '60. O ai tre volumi sulla Sapienza greca, o alle traduzioni di Kant e Aristotele.
Progetti e studi che derivavano da un'identità filosofica forte. Originalissimo e individualista, Colli, e senza vezzi e tic accademici: quando insegnava a Pisa le sue letture del Simposio si concludevano, per alcuni, con solenni sbronze, nel più puro spirito del dialogo platonico. Da qualche settimana è online il sito giorgiocolli.it, con una serie notevole di fotografie, lettere, recensioni tratte dall'archivio fondato nel 1979 dal figlio Enrico: una piccola miniera, in crescita, di curiosità e notizie. «I due libri fondamentali di Colli, senza i quali non si capisce niente sono le due curatele che fece negli anni Cinquanta per Einaudi: la Critica della ragion pura di Kant, e l'Organon di Aristotele» dice al Giornale Massimo Cacciari. Per il filosofo veneziano Colli è stato un autore di riferimento costante.
Per Colli il lavoro editoriale era un modo di fare filosofia?
«Riteneva che molti grandi autori fossero stati travisati. E che le origini della filosofia non fossero state indagate a fondo. Secondo lui le edizioni disponibili portavano fuori strada, non facevano vedere il rapporto dei pensatori greci con il tema dell'enigma, del mistero. Temi orfici, pitagorici, che secondo lui continuano essere dominanti nei filosofi greci. Tanto è vero che chiama quella dei greci “sapienza”, non filosofia. Il suo lavoro editoriale è una ricostruzione della filosofia occidentale. Non è editoria, è storia della filosofia».
Il discorso dell'enigma, del mistero, fa pensare a una vena romantica...
«Quella di Colli è una filosofia totalmente antiromantica».
Perché?
«La sua impostazione è rigorosamente logica. Anche in Filosofia dell'espressione riprende esattamente i temi che aveva analizzato in Aristotele. Cioè l'impossibilità logica di dire la cosa, di afferrare un logos che fosse “determinante”. E lui interpreta anche Nietzsche in chiave antiromantica».
Ma non ha fatto scuola.
«Non sono d'accordo. Intanto dobbiamo a lui se leggiamo Nietzsche come doveva essere letto. Ha fatto scuola eccome, a livello internazionale. Ma credo che abbia fatto scuola anche nella lettura dei cosiddetti Presocratici, anche se viene poco citato, anche se spesso gli accademici storcono il naso. Ricordo una baruffa pazzesca con Gabriele Giannantoni quando uscì il primo volume della Sapienza greca».
Ci racconti.
«Tutta l'accademia si sollevò come un sol uomo contro di lui. Non accettavano l'idea che fossero pubblicati, come frammenti dei Presocratici, lamine orfiche, testimonianze misteriche. Ci fu una sollevazione generale. Ma è un dato di fatto che da allora si leggono i Presocratici in modo più culturalmente aperto».
Ma come filosofo autonomo è stato poco seguito...
«Lì la circolazione è molto più ridotta. Filosofia dell'espressione è un testo ostico, presuppone una buona conoscenza di Aristotele. Ho dedicato a questo libro un capitolo di Della cosa ultima, ma... be', non è servito granché».
Era anche scomodo rispetto al fiume della cultura contemporanea. Nel sito c'è una recensione inedita in cui tratta male Elio Vittorini.
«La sua non era una cultura di quel genere, formatasi sulla letteratura e anche sulle idee anglosassoni. Lui era totalmente Mitteleuropa da un lato, e filosofia classica dall'altro. Poi però impostò presso Adelphi, con Bazlen, tutto il filone mitteleuropeo che è diventato decisivo in Italia negli anni '70-80».
Ma Colli è un pensatore per il quale esiste l'alto e il basso, il vero e il falso. Può essere usato come uscita da un postmoderno davvero esausto?
«I suoi punti di vista sono forti. Non deboli, non relativistici, quindi sì.

Ma questo realismo di cui oggi si ciancia è l'altra faccia del pensiero debole. Le stesse persone che hanno lanciato il pensiero debole oggi lanciano il realismo: ogni dieci anni bisogna cambiare moda. Ecco, se c'è un pensatore che non ha nulla a che fare con le mode certamente è Colli».

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