La pittura va a teatro e recita "a soggetto"

Maso di Banco, De Chirico e Turner, Rothko, Morandi e Monet: nelle scenografie di Pietro Carriglio il segno dei grandi artisti

La pittura va a teatro e recita "a soggetto"

Siciliano, direttore del Teatro Biondo Stabile di Palermo, Carriglio ha intensificato i suoi rapporti con me, fino a una consolidata amicizia, negli anni della mia sindacatura a Salemi, da lui assiduamente frequentata. Così, lavorando per Dansen di August Strindberg, ha disegnato una particolarissima scenografia d'ispirazione gotica per una messa in scena dell'opera in piazza Alicia a Salemi, sede prima e ideale, anche se non reale. In ogni caso Carriglio aveva deliberato di donare la sua scenografia-scultura in tondino di ferro alla città di Salemi. Proposito tramontato inevitabilmente con lo scioglimento per mafia del Comune di Salemi, su scellerata decisione dello Stato contro una città che aveva iniziato a rinascere, non solo dopo il terremoto, ma dopo anni di mortificazione e inerzia culturale.
Carriglio scrive in proposito: «la scultura per Dansen era nata per essere collocata, consumato il suo apporto scenografico, nella piazza del castello di Salemi, sindaco Sgarbi. I disegni sull'isola di Jona e sull'altipiano dell'isola di Staffa, che emerge dal mare sospeso su un insieme di pilastrini “metafisici” e il tema liturgico della barca, sono un debito contratto con Vittorio Sgarbi e le sue sempre illuminanti conversazioni a Palazzo Massimo. Il progetto che svilupperà il nostro nuovo discorso su Strindberg immaginava Salemi e la sua piazza come sede più appropriata delle nostre macchine sceniche. Le dimissioni di Sgarbi da sindaco impediscono la realizzazione del progetto». Ma non impediscono che io lo veda e ne senta la presenza coerente con lo spazio vuoto ideato, in impalpabili forme, da Álvaro Siza, in piazza Alicia.
Lo slanciato arco gotico, gli ideali contrafforti, l'aria catturata nella forma, il nord calato nel sud con spirito normanno hanno evidentemente ispirato il disegno libero di Carriglio, che si è fatto, da uomo di teatro, architetto. E, con ciò, interprete di una tradizione che passa attraverso le arti figurative. Perché, per lui, architettura vuol dire pittura, in un forsennato, inconsueto, studio dell'arte italiana, come io non ho riscontrato neppure nei più dotti storici dell'arte. Lettore infaticabile e appassionato di Roberto Longhi, nelle nostre discussioni egli ritorna sempre al magistero di quel grande, mostrando conoscenze insolite anche per un competente, in una sempre più rara considerazione del valore universale dell'arte. Così i nostri rapporti si sono fortificati in occasione, più che di mie mostre o miei libri, che lui ha meticolosamente frequentato e letto, della serie di schede diffuse e particolareggiate sull'arte italiana per il quotidiano Il Giornale. Con attenzione e costanza, Carriglio le ha lette e chiosate, tra sorpresa e compiacimento, non mancando di dare consigli e suggerimenti sempre pertinenti. Manifesto è stato il suo entusiasmo per l'impresa. Deve essergli piaciuto che, nella pletora dei giotteschi, io abbia dato spazio a Maso di Banco e alla sua vocazione, non saprei se più architettonica o scenografica.
Maso di Banco è, nella sua essenza, il riferimento scenografico ideale per Carriglio, che si fa scenografo per poterlo citare o trarne comunque ispirazione. D'altra parte la citazione diretta di de Chirico per il suo ultimo Ionesco (Le sedie), è una conferma di questa predisposizione, essendo evidente il nesso tra Maso di Banco, giottesco metafisico, e de Chirico. E, in questa cavalcata di secoli, lo stesso nesso si ritrova tra le torri di San Gimignano, che già Berenson accostò ai grattacieli di New York, e i parallelepipedi colorati del grande architetto messicano Luis Barragán. Niente di più assoluto e niente di più teatrale. Io non conoscevo, benché potessi intuirla, l'ammirazione di Carriglio per Barragán ma, certamente, nelle forme di ascendenza pierfranceschiana dell'architetto, ritrovo la necessità espressiva manifestata da Carriglio nel Sogno di August Strindberg e nel Racconto d'inverno di Shakespeare, con le partiture astratte della scenografia.
Barragán (ma anche Maso di Banco) ritorna negli studi per la Tebaide, con disegni di grande essenzialità, come i fondali architettonici di affreschi e tavole del Trecento. Barragán (ma anche Rothko) si vede nell'Amleto di Shakespeare del 2009, con la purezza di geometrie implacabili. E ancora Barragán, incrociato con Turner e Monet, si ritrova nella Locandiera di Goldoni. Mi compiaccio, leggendone ora le didascalie, che Carriglio indichi, tra le sue fonti, Zurbarán, Turner e Morandi. Certo, con gli anni e in una prospettiva estetico-mistica, Carriglio è arrivato alla perfezione, alla essenziale ascesi formale. Ma era un'aspirazione già evidente nei suoi taccuini, dove si manifesta la vocazione del pittore nel vasto orizzonte e nelle documentate conoscenze della storia dell'arte. Il pittore che avrebbe potuto essere, così come l'architetto nell'arco gotico mancato per Salemi, si intuisce nelle scene di Delirio a due di Ionesco, con l'evidente riferimento a Mondrian e a Van Doesburg, nella visione dei quali Carriglio avrebbe indirizzato la sua scelta estetica. È stato, ed è, invece uomo di teatro.

Con una libertà e un gusto senza limiti, e curioso di tutto, anche di ciò che gli era alieno. Meglio così. Il teatro, tenendo insieme letteratura, arti figurative, architettura e anche musica, gli ha consentito un Gesamtkunstwerk.

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