LA POLEMICA

Circa la proposta di Gabriella Carlucci di istituire una commissione d’inchiesta sull’imparzialità dei libri di testo scolastici, condivido completamente l’opinione contraria di Mario Cervi, i cui argomenti non sto a ripetere; se non per ribadire che è assurdo conferire alla politica la funzione di formulare una versione «imparziale» della storia, o di qualsiasi altra disciplina. Si tratterebbe di un dirigismo degno di un regime totalitario oppure di una squallida opera di «negoziazione». Nel campo culturale le differenti tesi si confrontano e vince la migliore, per i consensi che riesce a ottenere; a condizione che esistano condizioni di parità nel confronto. Ed è questo il punto che non viene compreso: la famosa egemonia culturale della sinistra esiste soltanto perché non esistono pari opportunità sul terreno dell’organizzazione e della diffusione culturale.
È questo un aspetto su cui il centrodestra dovrebbe cospargersi il capo di cenere per aver operato una bizzarra inversione: invece di favorire in tutti i modi il pluralismo culturale, esso tiene in scarsa o nulla considerazione la cultura e, quando serve, si rivolge al forno di sinistra, come se fosse l’unico produttore autorizzato, e infine contempla con desolazione il risultato tentando di porvi riparo con iniziative di correzione dirigistica da cui la politica dovrebbe tenersi alla larga.
Sono assolutamente convinto che a chiunque meno che a una persona intelligente come il ministro Tremonti può essere imputata la frase secondo cui «la cultura non si mangia». Ma è altrettanto indubbio che nel centrodestra circoli fin troppo una visione della cultura come qualcosa di marginale, di poco utile, di fastidiosamente accessorio rispetto ai «veri» problemi della politica. Il guaio è che la cultura si vendica di questo disinteresse, soprattutto nella società detta «della conoscenza». Difatti, tocca fronteggiare il problema che chi «conosce» è necessario, che si tratti di problemi dell’istruzione, della ricerca scientifica, della medicina e della biopolitica, dei beni culturali. E, a questo punto, cosa accade? Si dà per scontato che non esista altro che l’intellettualità di sinistra, che la cultura sia geneticamente di sinistra. Si ammette che intellettuali liberali, neoconservatori e di diverso orientamento, sì, esistono, ma sono quattro polli spennacchiati senza influenza; la cui adesione politica è data per «scontata», ma poco utili dal punto di vista politico-istituzionale. Ed è vero: ma vedremo in che senso. Tratta questa conclusione rinunciataria, basata soprattutto sull’idea che gli intellettuali di sinistra possono offrire appoggi sui mezzi d’informazione che contano, il centrodestra fa in questo ambito le nomine di consiglieri e consulenti cui affidare la gestione e direzione dei principali organi culturali e scientifici del Paese.
Sarebbe impietoso menzionare il modo con cui, in certi salotti, i «nominati» deridono la dabbenaggine di chi ha conferito loro nomine e poteri ottenendone in cambio solo poderosi colpi di remo in senso contrario. Torniamo piuttosto al discorso dei «polli spennacchiati», che in realtà sono effettivamente tali ma certamente non per inferiorità culturale. Quale «egemonia» culturale si manifesta nella tesi che i gulag non derivano affatto dal «sacrosanto ideale» del comunismo? Sarebbe più corretto dire che questa è l’espressione di uno sfacelo culturale. Ma provatevi a tentare di pubblicare un libro di testo che proponga una visione storiografica diversa, non improntata al dogma che la nobiltà dell’ideale comunista non può essere messa in discussione. Troverete un solido muro opposto dal rifiuto dalle maggiori case editrici (salvo una o due eccezioni tra quelle medie), le quali, incluse quelle ritenute «di centrodestra», sono solidamente gestite dell’egemonia culturale della sinistra.
Il discorso si estende al campo culturale nel suo complesso. Più volte è stata notata l’esistenza di una rete compatta che, nella miriade di convegni e festival culturali, propone sempre la stessa compagnia di giro. Se non se ne fa parte, il muro è impenetrabile. A questa rete il centrodestra non ha mai saputo contrapporre alcuna iniziativa contrassegnata da un diverso approccio culturale. Se mai lo fa, non è per rivolgersi ai «polli spennacchiati» bensì ai soliti intellettuali di sinistra, tanto gettonati quanto consunti. Perfino per imbastire un dialogo tra cattolici e liberali si arriva al punto di invitare un intellettuale di estrazione comunista per rappresentare la parte liberale... Proprio in questi giorni è dato leggere desolanti programmi di convegni promossi da fondazioni di centrodestra che presentano uno schieramento rigorosamente di sinistra.
Ma allora, se coloro che hanno un esclusivo diritto di accesso alla grande distribuzione editoriale, se coloro che dominano le iniziative culturali, se i consulenti generosamente nominati sono tutti ispirati al più rigido costruttivismo sociale, per giunta nel contesto di un’amministrazione da lungo tempo plasmata da queste visioni, perché stupirsi se quella è l’ideologia che viene trasmessa nella scuola (tutta, inclusa buona parte del settore privato)? E non si tratta soltanto della storia. Persino la matematica viene insegnata su manuali ispirati da un costruttivismo pedagogico il cui fanatismo ideologico fa scempio della disciplina. Inutile stracciarsi le vesti. E magari lamentarsi che non esistono gli intellettuali di altro orientamento. Esistono eccome.

Ma sono ridotti al rango di «polli spennacchiati», proprio per l’insipienza e la minorità culturale del centrodestra. Magari poi ne verrà riscoperta l’esistenza e la necessità in occasione di particolari contingenze politiche. Ma sarà troppo tardi.

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