Polemiche al cubo per l'hotel da incubo. Si muove il governo

Dopo lo scandalo per il nuovo edificio che sfigura il Canal Grande parte lo scaricabarile. Sgarbi: "Colpa di Cacciari e della magistratura"

Polemiche al cubo per l'hotel da incubo. Si muove il governo

«Ma andate tutti a dar via il cubo», potrebbe essere il commento a questo nuovo caso di mala-Italia, a questa iniezione di botulino edilizio sotto forma di pietra e cemento che deturpa il volto di Venezia, vecchia signora scippata della sua secolare bellezza. L'ampliamento dell'Hotel Santa Chiara, un bubbone bianco che sa di Scampia o di Quarto Oggiaro, sta mettendo a rumore la città e non solo. Dopo le reazioni scandalizzate delle prime ore, a seguito dell'inaugurazione, ecco partire, puntualissimo, il rimpallo delle responsabilità. Soprintendenza? Sindaci? Ministero dei Beni culturali? Consiglio di Stato? Corte europea dei diritti dell'uomo? Chi più ne ha, più ne tolga, di castagne dal fuoco, tanto ormai la frittata è fatta.

L'inizio della storia risale agli anni Cinquanta, come ricordato ieri da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera , quando si stipulò il foedus sceleris fra il Comune e la proprietà del Santa Chiara: io Comune ti concedo di costruire e tu del Santa Chiara mi concedi gli appezzamenti in tuo possesso (quelli dove ora si trova Piazzale Roma). Fu poi la magistratura a imporre il rispetto del «patto scellerato». Che ora ha dato questo frutto bacato. Vittorio Sgarbi, ieri intervenuto duramente su queste pagine, rincara la dose, mettendo nel mirino, più che la Soprintendenza, Massimo Cacciari, primo cittadino dal '93 al 2000 e dal 2005 al 2010. «Lo accuso in qualità di ex sindaco, ma soprattutto in qualità di uomo di cultura e di filosofo: la sua responsabilità è oggettiva e soggettiva. Lui era l'unico ad avere gli strumenti estetici per opporsi a questo scempio. Non l'ha fatto. Ha scaricato il fardello sulla Soprintendenza. Comunque, sia i sindaci, sia i Soprintendenti sono stati negli anni vittime di una magistratura criminale che ha agito contro la logica e contro l'estetica. Non è la prima volta che ciò avviene. Ricordo il caso di La Spezia e dell'abbattimento degli alberi in Piazza Verdi, dove la responsabilità fu del Tar».

Intanto, il proprietario del «cubo della discordia», Elio Dazzo, il quale ha addirittura avuto l'ardire di «firmare» l'intervento con il proprio ritratto su un «tassello» del cubo (salvo poi promettere di cancellarlo prestissimo) gioca in difesa, traccheggia, fa melina: «Mi sembra un'opera semplice, pulita, che non disturba. In piazzale Roma, tra la pensilina del tram e la cittadella non mi pare un pesce fuor d'acqua». Infatti, non un pesce normale, piuttosto un puzzolente pesce d'aprile fuori stagione è quella nuova «ala» dell'hotel che fa volare le polemiche. Corriere del Veneto e Gazzettino di Venezia hanno prontamente lanciato sui loro siti il più classico dei sondaggi per tastare il polso alla cittadinanza: i «no» oscillano fra l'87 e il 90 per cento, com'era facile prevedere.

Diversamente da Dazzo, il sindaco Luigi Brugnaro parte in contropiede. «Preferisco che, vicino alla storia, ci sia qualcosa di nuovo invece che delle scopiazzature. Il sindaco non può dare un'opinione: quella che esprimo è semplicemente la mia da cittadino». Poi tocca il nervo scoperto: «Certo, si tratta di un pezzo di storia di Venezia, fatto con soldi dei privati. E quel che deve far riflettere è il problema della burocrazia, visto che ci sono voluti venti anni per farlo».

E mentre i burloni del web se la spassano con le parodie-fotomontaggio che vanno dal cubo di Rubik alla sagoma di una nave da crociera, dall'immancabile Che Guevara ai simboloni maschio/femmina da toilette, si muove timidamente anche il governo. «Mi farò dare il dossier dagli uffici locali, voglio sapere meglio come si sono svolte le procedure - ha detto Ilaria Borletti Buitoni, sottosegretario del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo - a prima vista trovo il manufatto del tutto incompatibile con la parte storica dell'hotel, non c'entra nulla con il contesto in cui si trova ma il mio per il momento è soltanto un superficiale giudizio estetico. Approfondirò il percorso delle procedure per capirci di più e chiarire la situazione».

Nel frattempo i turisti passeggiano sotto il cubo che non c'entra un tubo, stravolti dall'afa e dalla ressa.

Qualcuno alza distrattamente lo sguardo in direzione dell'ospite indesiderato e si chiede se l'adiacente ponte di Calatrava sia il nuovo Ponte dei Sospiri. Ad altri, più informati, vien quasi voglia di riaprire i Piombi.

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