Quell'esilio felice di Montanelli il professore

Una targa per ricordare la presenza e l'attività di docente di Indro Montanelli tra la fine del 1937 e l'estate del 1938 all'Università di Tartu, in Estonia, è stata collocata nel prestigioso ateneo del paese baltico. L'iniziativa è frutto della collaborazione tra l'ambasciata d'Italia a Tallinn, la Fondazione Montanelli-Bassi di Fucecchio e l'Università di Tartu

Sul finire del 1937 Indro Montanelli prese quella che lui chiamava "deportazione" in Estonia, come una specie di castigo. Per le sue corrispondenze sulla guerra civile spagnola era stato infatti espulso dall'albo dei giornalisti (in realtà nel '37 l'ordine non era ancora riconosciuto: la legge istitutiva dell'ordine dei giornalisti è la numero 69 del 3 febbraio 1963), condizione "sine qua non" per continuare il suo mestiere, e sospeso dal partito la cui tessera era condizione "sine qua non" per trovare un altro lavoro. Insomma, il suo futuro si stava facendo oscuro.
Tutto per colpa della cosiddetta "battaglia di Santander" che si svolse nell'agosto del 1937. Montanelli, appena ventottenne, era arrivato sulla costa basca come inviato speciale de "Il Messaggero". L'ordine giunto da Roma in quei giorni era quello di usare tutti gli aggettivi possibili e immaginabili per esaltare quella che sarebbe stata una sicura vittoria. Facile profezia, dal momento che le forze in campo erano in rapporto di 1 a 10 a vantaggio dei franchisti, appoggiati da molti legionari italiani.
La vittoria infatti ci fu, ma Montanelli scrisse esattamente quello che i suoi occhi avevano visto e che la sua coscienza gli aveva dettato: "E' stata una lunga passeggiata con un solo nemico: il caldo", fu l'incipit del pezzo dettato a Roma.
Si racconta che quando Mussolini lesse quell'articolo andarono gli occhi fuori dalle orbite e ordinò subito che a quel giovane scellerato - che pur aveva aderito, in anni non lontani, al partito fascista ed era andato anche volontario in Abissinia per contribuire alla creazione dell'Impero al quale il Duce teneva tanto - fosse tolta la tessera del partito, fosse radiato dall'albo dei giornalisti e invitato a non tornare più in patria.
Si dice che Montanelli abbia risposto a Mussolini: "Fatemi il nome di un solo militare deceduto in quella battaglia e mi riconoscerò colpevole". Fortuna per Indro che in Italia aveva qualche buon amico, e fu proprio uno di questi, Giuseppe Bottai, personaggio di rilievo nella gerarchia fascista, ministro delle Corporazioni e ministro dell'Educazione nazionale, a procurargli l'incarico di lettore di italiano all'Università di Tartu e di direttore dell'Istituto italiano di Cultura a Tallinn, in Estonia.
C'è da dire che in qualsiasi altro regime totalitario sarebbe finito in un lager o in un gulag. Sotto quello fascista, invece, mentre un ministro gli toglieva di mano la penna, un altro ministro (appunto Bottai) gli trovava una cattedra universitaria, sia pure in un paese boreale, di cui non sapeva nulla.
E' per questo che, oggi, proprio quel lontano paese, l'Estonia, ha voluto rendere omaggio a quella sua esperienza. E lo ha fatto con una targa, sulla quale si è sollevato il drappo l'11 marzo all'Università di Tartu, dove Montanelli insegnò come lettore di italiano tra la fine del 1937 e l'estate del 1938. Un'iniziativa frutto della collaborazione tra l'ambasciata d'Italia a Tallin, la Fondazione Montanelli-Bassi e l'Università di Tartu, "per ricordare la presenza e l'attività di docente di Indro Montanelli in quell'istituto", come spiega la Fondazione intitolata al giornalista di Fucecchio. Alla cerimonia hanno partecipato Riccardo Migliori, presidente dell'Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), Gabriele Genuino, collaboratore di Migliori, Alberto Malvolti, presidente della Fondazione Montanelli-Bassi, il sindaco del Comune di Fucecchio, Claudio Toni, l'ambasciatore d'Italia a Tallin, Marco Clemente, il sindaco di Tartu e alcuni rappresentanti dell'Università di Tartu.
L'aspetto curioso è che nella targa l'unica cosa non traducibile in estone è il nome Indro. Montanelli, invece, è stato tradotto in Montanellile. Questo perché, come scrisse lui stesso, l'Estonia è un paese sorprendente. "Con mia grande sorpresa, potevo parlare nella mia lingua perché le conoscevano quasi tutte, essendo assolutamente incomprensibile quella loro di radice ugro-finnica come quella finlandese, ungherese e turca, al cui ceppo etnico gli estoni appartengono e che è di discendenza mongola. Ma la facilità con cui apprendevano le lingue straniere era anche dovuta al fatto che per nove mesi all'anno non potevano far altro, dato il clima, che studiare. Studiavano tutti, anche i contadini, perché per nove mesi la terra era sepolta sotto metri di neve".
Lingua difficile l'estone che tuttavia suonava con una certa dolcezza alle orecchie di Indro che già nel 1938, in un suo reportage pubblicato sull'Illustrazione Italiana osservava: "L'estone è una lingua incomprensibile e dolcissima che scorre veloce sullo scivolo delle sue doppie vocali: Italia si dice Itaalia: è più bello, è più fluido, avevo l'impressione dicendo "Itaalia" di parlare di un'Italia più grande, dell'Italia che sarà fra cinquant'anni".
L'esilio estone, che all'inizio sembrò la drammatica interruzione, forse la fine, di una promettente carriera giornalistica, in realtà si rivelò un'opportunità. Dopo le prime settimane Montanelli si accorse che quella trasferta celava dietro di sé un aspetto interessante e anche divertente. Il provvedimento preso dal ministro Bottai che poteva essere interpretato in prima battuta come una punizione in verità non lo fu. Bottai, che conosceva le qualità intellettuali di Indro, aveva inteso sottrarlo ad altre più dure conseguenze allontanandolo dall'Italia finché la tempesta non si fosse placata. In pratica così lo salvò.
Anche se il primo contatto con i suoi studenti estoni fu piuttosto traumatico. "La mia prima lezione fu affollatissima. All'ingresso nell'aula mi stupii nel vedere quanta gente lassù si interessava di letteratura italiana - raccontava Montanelli -. Ma dopo pochi minuti gli studenti s'alzarono e uscirono in massa. Mentre mi interrogavo su quella strana usanza uno di loro m'avvicinò rispettosamente. Piegatosi in un grande inchino, si presentò: si chiamava Turvo Turvistee e mi spiegò che quell'uscita era stata una manifestazione di protesta non contro la mia persona, ma contro il regime che rappresentavo. Naturalmente non obbiettai, lasciando al tempo di dimostrare quanto si erano ingannati, e il tempo non perse tempo ad assolvere questo compito. Io ne impiegai ancora di meno a capire il perché di tanta suscettibilità".
Ma ben presto Indro instaurò un rapporto di rispetto e anche di affetto con i suoi studenti. Anzi fu proprio qui che scoprì un'altra vocazione che restò nascosta dietro quella più impellente del giornalismo: "Insegnare mi piaceva. Se non avessi avuto il giornalismo nel sangue, probabilmente avrei seguito le orme di mio padre. Da lui avevo appreso l'arte di divulgare in modo limpido e facile e di raccontare la storia parlando di uomini e di fatti anziché di teorie. La fervida atmosfera di quell'università fondata da Pietro il Grande era ben diversa da quella plumbea delle nostre accademie".
Insomma il bilancio di quella che inizialmente poteva sembrare una "deportazione" fu più che positivo e quel quasi anno fu da lui sempre ricordato con nostalgia. Anche perché la disponibilità allo studio e alla scrittura sollecitata dal clima ebbe per lui frutti memorabili.
Oltre agli articoli pubblicati sull'Illustrazione Italiana, infatti, la vocazione montanelliana al giornalismo qui fu tutt'altro che frustrata, e proprio da Tallin iniziarono le sue corrispondenze per La Stampa dove pubblicò anche alcuni reportage sulle purghe che Stalin stava somministrando in Unione Sovietica.
In Estonia concluse il suo migliore testo narrativo, un racconto lungo o meglio un breve romanzo intitolato Giorno di festa: "In Estonia il tempo non mi mancava. Rimisi mano a Giorno di festa, forse il romanzo a cui tengo di più, che avevo cominciato a scrivere in Abissinia". Non solo scrisse "Giorno di festa" e completò l'altro romanzo, "Ambesà", ma contribuì a far conoscere in Estonia alcuni autori italiani. Per esempio fece tradurre e scrisse la prefazione al romanzo di Corrado Alvaro "Gente in Aspromonte". Scrisse anche la prefazione al romanzo di Luigi Pirandello "I vecchi e i giovani".
Ma il suo non fu certo solo isolamento. Anzi, Indro ricordava ad esempio le sue escursioni a Copenaghen "a visitare una mia antica fiamma", Britta, una ragazza che fu sul punto si sposare, oppure l'incontro in Finlandia con il generale Mannhereim, un personaggio che resterà tra i miti del giornalista toscano, soprattutto nelle successive corrispondenze sulla guerra russo finlandese.
"Un esilio felice insomma - commenta il presidente della Fondazione Montanelli-Bassi, Alberto Malvolti -. Indro sarebbe stato grato per il ricordo che è stato collocato in questo luogo che gli fu tanto familiare. Lui non amava particolarmente i premi e le cerimonie, ma una volta disse: "Io, è noto, disprezzo i premi letterari. Ma non perdono chi me ne defrauda". E perciò non ho dubbi: l'attuale riconoscimento gli sarebbe stato davvero gradito, specialmente il riconoscimento venuto da questa terra che ricordava sempre con piacere. Per questo la Fondazione Montanelli Bassi ha aderito volentieri alla proposta venuta da Riccardo Migliori a nome dell'Osce.

Ringrazio l'ambasciatore d'Italia a Tallin Marco Clemente, che ha contribuito alla collocazione della targa in questa Università. Grazie anche al rettore che oggi ospita la delegazione fucecchiese e che più di 70 anni fa ospitò il nostro illustre concittadino". Quell'esilio felice di Montanelli il professore.

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