
E’ tre notti che il ragazzo la vede. Sempre seduta in fondo, tra gli ultimi tavoli dell’Union. Uno dei pochi bar in cui sia possibile tirare tardi in questa Milano agostana. Di giorno è un crogiolo di cemento, asfalto e vetro che agonizza sotto il sole. Di notte un catino umido dove non si respira. Il ragazzo si chiede se lei sia bella. La guarda di soppiatto: “Tecnicamente sì”, si dice. Poi torna a fissare con aria di niente la sua birra a metà. Davide il barista nota l’occhieggio, non si sopravvive in un bar se non si notano certe cose. “Viene spesso, sempre sola…”.
“L’ho solo guardata…”.
“Luca, la tipa ti ha mollato sei mesi fa, passi le serate qua… dando a me quello schifo che guadagni come giornalista praticante in un giornale che fra sei mesi chiude, guardarla e basta è un po’ poco… C’hai venti minuti, poi chiudo…”.
Il ragazzo, pensa: “Barista coglione, non è sempre come farsi fare un pompino da una cameriera che lavora in nero e sogna di fare l’attrice…”. Poi però si alza, va verso di lei. Sono quindici metri e sei tavoli, con un totale di quattro clienti sfigati, ma a Luca, che annaspa alcolico nell’aria densa, sembrano moltissimi.
Ha l’impressione di avvicinarsi al rallentatore, come se fosse una manovra di allunaggio, un rendez vous tra navette spaziali. Appoggiata al tavolino, “pianale di plexiglass con un sacco di minchiate incastrate
dentro” pensa distraendosi lui, lei giocherella col bicchiere. Mani bianchissime, dita lunghe, unghie corte da
bambina. Addosso un vestitino da niente, semplice e un po’ retrò, con i colori vivaci ma inquietanti – a Luca
il verde e il viola assieme fanno quell’effetto lì, di inquietarlo. Le braccia ossute, affusolate e appoggiate con grazia negligente ai bordi del plexiglass. I capelli lunghi e neri ricadono confusi, incorniciando d’entropia un viso un po’ ottocentesco. Quando alza, sentendolo avvicinare, gli occhi di uno strano verde tigrato,sembrano accendersi . Lei lo guarda… E lo sguardo lo inchioda. Non è intimorito, non pensa “Sono un coglione ad essere venuto sin qui”, questo lo pensava prima. Semplicemente è prigioniero di quel verde, sospeso. Poi lei abbassa lo sguardo prende una camel dal pacchetto azzurrino. L’accende, poi allunga il braccio e gli indica di sedersi… Lui lo fa, un po’ goffo. Lei dice: “Ciao sono Carmilla”.
“Che nome buffo… Sai qui non si può fumare…”.
“E’ un nome antico… Sono un sacco le cose che faccio e forse non dovrei fare…” dice lei che ora, sigaretta in bocca, guarda il bicchiere, intenta, facendolo ruotare e giocando coi riflessi.
“Hai uno strano accento…”
“Sono qui da tanto, ma non riesco a togliermelo del tutto…”.
“Di dove sei?”.
“Di mestiere cosa fai l’agente di polizia? Perché sei bravo a far domande… un po’ meno a presentarti” Poi ride. Alza di nuovo gli occhi su Luca, grandi fari verdi in un viso pallido, con lentezza, sempre guardandolo, si raccoglie i capelli di lato.
Lui si sente avvampare: “Scusa mi chiamo Luca, faccio il giornalista, cioè diventerò giornalista.. e per quello che faccio domande… scusa…”.
Lei lo guarda e tace. Intanto gioca con i capelli. Ora che le è vicino Luca ha l’impressione che la sua pelle diafana sia incredibilmente morbida. Eppure attorno agli occhi è come se ci fosse una filiera di rughe finissime, sotto il trucco pesante e bistrato i suoi sembrano occhi antichi, lontani, di vecchia…
“Quanti anni hai?”
“Ne ho quanti me ne dai… nell’abbordaggio da bar sei una frana, chiedere gli anni a una signorina…”.
“Abbordaggio… Io veramente… Signorina? Ma nessuna pensa più a se stessa come a una signorina… mica è il 1920!”.
“Parlotti col barista… poi vieni qui… non mi hai mai vista prima… abbordaggio. Cortese, timido ma abbordaggio… Prenditene la responsabilità, sei qui perché hai pensato fossi una preda interessante. Bisogna prendersi delle responsabilità Luca… Adesso sono io che sto pensando se tu sei una preda interessante o no… e me ne prendo tutta la responsabilità. Da signorina vecchio stile”.
“Tu volevi essere abbordata? Cioè, vieni sola nei bar per quello?”. Subito dopo averlo detto si pente. Ma le sopraciglia ad ali di gabbiano di Carmilla non danno cenno di disappunto. Anzi, la ragazza si lascia andare con aria languida sulla sedia…
“Io vengo qui perché di notte non dormo… Proprio non posso. Vorrei, ma non posso… E le giornate estive, con questo sole assurdo che ti brucia, le odio… Un tempo di Milano mi piacevano le nebbie, uscivo sempre con la nebbia… adesso… Finirò con l’andarmene…”.
“Beh saran vent’anni che la nebbia non c’è più…”
“Più o meno… mi piaceva così tanto… Potevi uscire di giorno… Così silenziosa ovattata, davvero fantastica… Mi toccherà tornare in Inghilterra, lì ci sarà ancora spero… Magari a Edimburgo… o ancora più a Nord…”
“Sei un po’ dark…”
“Solo per necessità. Come vedi nel vestire invece scelgo colori vivaci…” Nel dirlo si alza e fa una veloce giravolta. Per un’attimo sembra una bambina “E adesso Luca è il momento di altre scelte. Vieni a casa mia o ci salutiamo qua… Davide deve chiudere il bar…”.
Luca abbassa gli occhi, si passa la mano tra i capelli, non si sente sicuro: “So così poco di te… Ho solo pensato che eri carina.. che la mia vita fa schifo e che, allora, tanto valeva fare qualcosa che non ho mai fatto in vita mia… abbordare una al bar…”.
Lei lo fissa di nuovo con quell’aria strana: “Usciamo… Dai, voglio fumare, non ti mangio… comunque non prima della sigaretta…”.
Fuori dal locale l’aria è calda e immobile. Non si sente un suono. Nemmeno lo sferragliare degli ultimi tram…
“Abiti lontano Carmilla?”
“Non molto, monolocale in affitto… Tutta la mia vita può stare in una cassa… libri esclusi…”
“Leggi molto?”.
“Tutto il giorno… e colleziono foto e ritratti autografati di scrittori…”.
“Fico…”
“Un modo come un altro per distrarsi quando si ha moltissimo tempo a disposizione. Gli anni passano, le estati sono sempre uguali, gli inverni pure… Quello che tre vite fa poteva sembrarti uno splendido dono poi diventa un incubo… Tutto cambia e io no… Io resto sempre io, sempre sola e certe sere molto affamaaaaata… Capisci?”.
“Sì”
“No, non capisci… se sei fortunato non lo capirai mai… Potrei anche lasciar perdere…”.
“Come mi fai fare tutta questa strada e poi lasci perdere? Scherzo se hai fame c’è un chiosco coi panini a qualche isolato… E’ conosciuto come il chiosco delle luride, magari è aperto… a parte il nome i panini son buoni…”.
Lei scuote il capo e fa un sorriso strano: “No i panini no… Non sono il mio genere, saliamo da me… è là” nel dirlo gli stringe il polso. E per un attimo la mano esile sembra incredibilmente forte… Luca lo ritrae istintivamente…
“Aia…” Luca si guarda l’avambraccio graffiato, “strano, non hai nemmeno le unghie”.
“Scusa “. Poi gli prende la mano e se la porta verso il viso. Da piano un bacio sul graffio che parte dall’attaccatura del palmo e va verso le vene del polso. Per un attimo tutto a Luca appare confuso irreale. Gli sembra che il bacio duri tantissimo, che tra le labbra di lei lo sfiorino, appena, dei canini lunghissimi. Poi lei lo tira di nuovo, un portone si apre, si richiude, salgono delle scale sporche e puzzolenti. Lei gira una chiave e sono in un appartamento piccolo e ingombro di cianfrusaglie. Non accende la luce, ma la finestra ha gli scuri aperti e i fanali della strada spezzano l’oscurità. Luca si ferma sulla soglia, esita… Poi allunga la mano verso un mobile ottocentesco decisamente fuori misura per un monolocale, impedisce persino alla porta di aprirsi del tutto. Prende una fotografia dentro una pesante cornice d’argento. E’ un dagherrotipo che ritrae un uomo con la barba e il cilindro… in basso c’è una sbiadita scritta a penna: “To my dear Carmilla, with love, Joseph Sheridan Le Fanu”. “Ma chi è? Ma è lo scrittore dell’ottocento? e come fa ad aver fatto una dedica a te?”.
Lei gli prende la foto con dolcezza e poi se la stringe al petto. “Adesso ascolta… Non è più l’ora di fare domande… Ora funziona così: essendo una brava ragazza faccio io una domanda a te. E tu scegli, guardandomi bene negli occhi. Vuoi restare o andare… Ed è una domanda che non faccio spesso… non la faccio da almeno cinquant’anni…”.
Luca la guarda, immobile e diafana, sottile ma anche contratta come attraversata da una elettricità fortissima. Nell’immobilità percepisce uno sforzo tremendo, i muscoli sono così tesi che lei sembra nemmeno respirare. Luca abbassa gli occhi: “Tu mi piaci tanto… davvero, forse è per questo che vado via, ma…”. bE’ come se lei si sciogliesse, neve al sole. senza che lui abbia il tempo di muoversi lo ha già abbracciato, poi gli mette un dito sulle labbra, lo spinge all’uscio sollevandolo come fosse di pezza, gli da un bacio, chiude la porta sussurrando “A mai più, adesso scappa a casa… io tra un po’ devo uscire di nuovo…”. E quando la porta si chiude, davvero Luca scappa. Quasi si ammazza rotolando giù dalle scale. Poi corre, corre, corre. Ferma un taxi buttandoglisi di sotto. La mattina dopo quando arriva in redazione e si mette a guardare le agenzie… sa già cosa cercare è tutta la notte che ci ripensa. La trova quasi subito, è una Ansa, si intitola “ Milano. Extracomunitario trovato morto in zona città studi”. Il resto potrebbe anche non leggerlo: “Strano rituale… sgozzato… forza mostruosa… assenza di sangue”. Chiude gli occhi “lasciar andare me l’ha costretta a fare le cose male, in fretta…”. Poi per la prima volta si guarda la ferita al polso. E’ già cicatrizzata, praticamente non si vede.
Solo che hai due lati ci sono come due piccole bruciature, la pelle è arrossata, anche se lui non sente alcun dolore. Tocca i segni con le dita, è come se qualcuno ci avesse appoggiato due ferri roventi. Anzi due canini lunghi e roventi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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