Re Giorgio nel palco reale allo show della decadenza

Re Giorgio nel palco reale allo show della decadenza

Era dai tempi del liceo che non assistevo a una lezione così intensa sul decadentismo. Stavolta dal vivo. La Prima della Scala era da sempre il momento simbolo dei sogni, degli slanci, delle belle illusioni, di un romanticismo vitale e spontaneo, certe volte sfrenato ed eccessivo, ma pur sempre contagioso. Niente, è cambiato il vento. Certo non era indispensabile venire alla Scala per rendersene conto, ma in nessun altro luogo si può toccare con mano una così perfetta sintesi dell'attuale sentimento italiano.
Per quanto il cardinale Scola si batta per invocare proprio qui, a Milano, l'inizio di un nuovo umanesimo, non è possibile andare oltre il semplice auspicio. La realtà è un'altra. E chissà fino a quando. Tutto ora è decadenza. E' decaduto da poco il nemico numero uno, buttato fuori dal Parlamento un minuto prima che sostanzialmente decadesse pure lo stesso Parlamento. Con effetto a cascata, decadono ad uno ad uno anche i nemici giurati del nemico, gente che per vent'anni ha costruito il proprio pensiero e il proprio fatturato in funzione di un bersaglio, senza mai immaginare di potersene costruire di nuovi e autonomi, non necessariamente contro.
Dilaga lo smarrimento, è la crisi delle antiche certezze, e nell'immediato non se ne intravedono di alternative. Come denuncia la stilista Curiel, è la decadenza anche del lusso e di conseguenza del business: una volta creava una ventina di abiti specialissimi per la Prima, stavolta è ferma a quattro. Decade forse anche il gusto? Certo decade la voglia di spendere e spandere, forse più ancora decade l'ostentazione. L'epopea della sobrietà e del loden sopravvive anche a molti mesi di distanza. Decade in generale la voglia di eccitarsi e di entusiasmarsi. E' una Prima che si sforza di essere sempre la Prima, ma sul santuario della lirica sembra aleggiare la fosca penombra più intonata a un'Ultima. Sono fiacchi e decadenti persino i settori della protesta, chiusi nelle transenne, ma chiusi soprattutto in uno stanco rituale ripetitivo. Per la cronaca, l'edizione 2013 segnala urla e striscioni di: Cub, Centri sociali, giovani di Forza Italia. Nient'altro. Non un uovo lanciato, almeno in nome dell'antica tradizione.
Decade tutto: è la Prima finale del sovrintendente Lissner, poi anch'egli decadrà per andare all'Opera di Parigi. Decade visibilmente la civetteria al silicone delle damazze, mai così dimesse e defilate: compaiono certo scollature, gioielli, cotonature, di roba ce n'è, ma niente che esca dalla consuetudine e dalla normalità. Per dire la decadenza del settore, assenti persino le immancabili Marta Marzotto e Valeria Marini. E la politica? Ci sono più ministri decaduti (Monti, Severino, Passera) che ministri viventi (Bray, Mauro). Al loro posto gli istituzionali di rigore: dal presidente europeo Barroso a quello italiano Napolitano, giù a scendere Grasso (Senato), Maroni (Lombardia), Pisapia (Milano). C'è pure il presidente del Togo, e con tutto il rispetto come non scambiare pure questo per un chiaro segnale di decadenza, almeno sul piano del puro prestigio internazionale.
E la coreografia, santo cielo: quanta mestissima decadenza. In questa piazza una volta c'era il tram rivestito di Swarovski, c'erano i carabinieri a cavallo, c'erano fioriere alle balconate. Ora non c'è una luce natalizia, non un fiore, e i carabinieri sono venuti in moto. E' un quadro così, che sa di crisi epocale e di stanchezza. Poi è chiaro che tutti quanti cercano di aggrapparsi a qualcosa di positivo e rassicurante, come l'omaggio a Mandela, come il vecchio inno di Mameli, come lo stesso Verdi, da duecento anni icona nazionale buona per tutte le stagioni. Inevitabilmente viene spontaneo aggrapparsi anche allo scontatissimo trionfo finale (mai sentito parlare alla Scala di uno spettacolo disastroso, come succede allo stadio o al cinema). Tutto bene, niente da dire. Ma diciamoci la verità: è poco, sa di magra consolazione. A dirla tutta, è una Prima niente di che.

Sicuramente non è la metafora eccitante della riscossa generale che tutti aspettiamo. Ma forse è stupido e infantile attribuire alla Prima della Scala i segni inconfondibili della decadenza. Da parecchio tempo, la decadenza l'abbiamo dentro.

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