Requiem per la saggistica. Pochi titoli, ancor meno idee

I libri di approfondimento, che sul mercato contano sempre meno, sono il regno del conformismo. E senza dibattito l'editoria muore...

Chiunque entri oggi in una libreria, pure ben fornita, un bookstore - una Feltrinelli, una Mondadori, Rizzoli in Galleria a Milano - dopo un diluvio di titoli nel settore Narrativa, ha l'impressione di una certa aridità in quello della Saggistica. Sì, certo: ci sono molti classici del pensiero, della critica letteraria, dell'arte, dell'antropologia... Ma davvero poco di «nuovo» sul «nuovo». Sugli studi e le riflessioni di autori contemporanei su storia, economia, sociologia, persino su temi caldi come «lo scontro di civiltà» o la crisi economica, l'offerta è risicata. E l'impressione diventa una certezza se si guardano i dati dell'Aie. Come dimostra il rapporto sull'editoria 2014, non solo calano le copie vendute in generale (-2,3%), e non solo diminuiscono i titoli pubblicati ogni anno (-4,1%), ma precipitano proprio i titoli di saggistica: nel 2012 erano 18.398, il 27,5% del totale, oggi sono il 24%, poco più di 15mila. E se consideriamo che, tolta la «pratica» (manualistica, guide...) e la «specialistica» (informatica, business...), il core business della cosiddetta «non fiction» è l'evanescente «varia» - ossia i «libroidi» dei non-scrittori: celebrities tv, cuochi e sportivi non sempre all'altezza di Agassi - i titoli si riducono a pochissime migliaia. E allora la domanda è: che fine ha fatto la saggistica di qualità? Nei «Top20» la saggistica - che nel 2011 ha venduto 350mila copie e nel 2012 circa 120mila - nel 2013 non è neppure rilevante a fini statistici. Sparita dai grafici, scarsa sugli scaffali, irrilevante nei bilanci, morta nei dibattiti.
Requiem per l'editoria di qualità.
Le multinazionali del pensiero - Mondadori, Rizzoli, Feltrinelli - hanno sì i loro fiori all'occhiello: alcuni studi storici nelle «Scie», i «Saggi» Einaudi, i «Campi del Sapere», qualcosa di Bollati Boringhieri. Ma ormai, in un'ibridazione pericolosa la saggistica è sempre più declinata verso la varia, o il pamphlet, o il «giornalistese». Come spiega Francesco Anzelmo, responsabile Saggistica in Mondadori, «negli ultimi anni c'è stato un cambiamento di paradigma: una volta il modello era quello verticale dello studioso che nel campo specifico in cui era un esperto trasmetteva un sapere al pubblico, dall'alto in basso. Il mercato di questi libri negli ultimi cinque anni si è ridotto ferocemente, fino al 30%. Oggi si è imposto un altro modello, non per forza qualitativamente inferiore ma diverso: quello della "testimonianza". Il pubblico preferisce affidarsi non a chi ha studiato per anni qualcosa, ma a chi l'ha vissuta, a chi "ci è passato"». E così, il libro sulla Prima guerra mondiale del giornalista che raccoglie le lettere dei fanti batte sul mercato l'analisi dello storico accademico. Mentre per Ottavio Di Brizzi, responsabile Saggistica in Rizzoli, che pure conferma la contrazione del mercato per i libri di "cultura alta", «il punto è trovare l'equilibrio fra il titolo di ampio respiro che "segna" la qualità della casa editrice e che coltiva il campo, anche se magari non rende nell'immediato (se si arriva a 8-10mila copie vendute è tantissimo, ndr), e la saggistica popolare, quella delle "firme" che fa mercato».
Ed ecco la iper-produzione di instant-book, «storie vere», inchieste alla Chiarelettere, (auto)biografie, oppure la «divulgazione» della grande penna o del volto tv. Questa settimana nella Top10 dei «saggi» (dove per entrare bastano mille copie) trovi: Erri De Luca, Alberto Angela, Calabresi, Cazzullo, Pansa... Mentre sui banchi delle librerie, settore «Attualità», sul tema Oriente-Occidente ci sono tre titoli di giornalisti sull'Isis e un dialogo con la figlia di Tahar Ben Jelloun su L'Islam che fa paura. Sì, c'è Finkielkraut col suo libro sul fallimento del multiculturalismo, c'è Éric Zemmour (che da noi, rispetto alla Francia, non creano neppure dibattito), e poi? E sulla crisi politico-economica? Se là domina il pensiero corto, qui domina il pensiero unico. C'è Perché il capitalismo non è sostenibile, ci sono i saggi di Latouche&compagni sulla decrescita felice, ci sono le colpe del capitalismo del Nord nel saggio di Giuseppe Berta... Persino sui Beni culturali, fuori dalla linea rossa ultrastatalista Settis-Montanari c'è il nulla.
E fuori dalla linea Mondadori-Rcs-Feltrinelli? C'è il Mulino che sta vivendo momenti difficili, scosso da tumulti aziendali e tagli nella controllata Carocci. C'è Raffaello Cortina, sempre più avvitata sui temi delle neuroscienze; c'è Laterza, vivace ma ideologicamente orientata fra Bauman e Rodotà... E poi ci sono i «piccoli», che sopravvivono tra coraggio e incoscienza - citiamo Mimesis per la filosofia o Morcelliana per la religione - ma, appunto, fanno «piccole» cose.
In Italia, oggi, un buon titolo di saggistica o è un'eccezione o un incidente. Spinti dal mercato verso i mari della narrativa o della varia, gli editori hanno smarrito la bussola della saggistica di qualità. Cercano il bestseller e perdono l'idea di un «progetto». Impegnati, giustamente, a far quadrare i magri bilanci, trascurano di investire sulle grandi idee. Oggi a un De Felice che proponesse una biografia di Mussolini in 8 volumi o a un editor che suggerisse di tradurre Il pensiero politico medievale di Carlyle, l'editore potrebbe rispondere «Bella idea. Riusciamo a ridurla un po'?».
Riduci, riduci, l'offerta si è contratta, e la saggistica «impegnata» è a rischio estinzione. Colpa della società, che non invoglia a leggere? Colpa della scuola, che non lo insegna? Colpa dell'Università, che ha messo un tetto massimo al numero di pagine da portare all'esame, tagliando le gambe agli editori? «Colpa di una crisi del sapere - risponde Cesare De Michelis, editore di lungo corso e intellettuale dall'occhio lungo -: non c'è una vera saggistica perché non ci sono veri autori dotati di un metodo e di un progetto. La storia, a parte la contemporanea, è scomparsa. La sociologia non esiste più. La psicoanalisi è solo una pratica terapeutica, la politologia è peggio della politica, il dibattito sull'architettura è fermo al design dei cucchiai, e gli economisti non riescono neanche a capire perché siamo finiti in questa crisi...

Cosa vuole che ci insegnino? La critica letteraria, già... Al di là di qualche diligente monografia di un ricercatore universitario, se lo vede un saggio sulla narrativa italiana contemporanea? Per dire cosa?». Già. Il guaio è che manca la materia.

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