Come ritrovare in un gulag il tempo perduto di Proust

Il pittore e critico d'arte Józef Czapski, detenuto fra il '40 e il '41 a Grjazovec, improvvisò conferenze ai suoi compagni. Così la "Recherche" salvò loro la vita

Come ritrovare in un gulag il tempo perduto di Proust

«Il guaio è che per avere il tempo di leggere la Recherche bisogna essere molto malati o rompersi una gamba». Lo dice un medico che la sapeva lunga, in proposito: Robert Proust, il fratello di Marcel. «Ebbene, solo grazie a un'infezione tifoidea, che mi lasciò debilitato per un'intera estate, riuscii a leggere la sua opera da cima a fondo». Lo dice, ancora a proposito della Recherche , uno che la sapeva altrettanto lunga. E non lo dice in tv, o in un salotto o al Festivaletteratura di Mantova, bensì in un campo di prigionia. Sta infatti parlando ai suoi compagni di sventura, polacchi come lui, a Grjazovec, quattrocento chilometri a Nord di Mosca. Sono quasi tutti ufficiali, non sanno di essere scampati al massacro di Katyn e, essendo uomini d'un certo livello sociale (medici, ingegneri, insegnanti, pittori, scrittori), ingannano il tempo organizzando simposi culturali e discussioni a tema, rigorosamente clandestini. Ma come fanno, se i più fortunati possiedono appena un mozzicone di matita e qualche foglio di carta, se le giornate sono scandite da umiliazioni, fame e angoscia e se, com'è ovvio, i carcerieri non concedono loro il conforto dei libri? Semplice, usano l'ultima risorsa rimasta: la memoria.

E Józef Czapski, quello che abbiamo appena sentito ringraziare la febbre tifoidea, meritevole di avergli dischiuso le porte dell'universo proustiano, sceglie un argomento che della memoria è la più alta rappresentazione, il fluviale romanzo dell'autore che aveva letto in Francia, negli anni Venti, quando, reduce da una guerra combattuta da soldato antimilitarista e divenuto pittore e critico d'arte, con alcuni amici aveva fondato il Comitato parigino (KP, da cui il termine «kapisti»). Parigi era la Mecca degli intellettuali, anche e soprattutto di quelli venuti da fuori. Esserci dentro voleva dire essere al centro del mondo culturale europeo. Meno di vent'anni dopo, quel ragazzo nato a Praga nel 1896 ma cresciuto in Bielorussia e formatosi prima a San Pietroburgo e poi a Cracovia, era invece fuori dal mondo, catturato dalla tela del ragno sovietico. Così per uscirne, almeno in spiritu , pensò bene di saltare sul taxi di monsieur Proust insieme ai suoi ascoltatori-interlocutori e di mettere per iscritto quelle conferenze improvvisate. Che ora tornano nelle nostre librerie, dopo l'edizione del 2005 presso L'ancora del Mediterraneo (Adelphi, pagg. 125, euro 18, a cura di Giuseppe Girimonti Greco). Proust a Grjazovec è il titolo, più didascalico e meno efficace di quello scelto dall'autore: Proust contre la déchéance , ovvero Proust contro il declino.

Qui troviamo acute osservazioni, come il parallelismo fra l'opera di Proust e quella di Conrad: il primo lascia la vita sociale (a parte qualche serata al Ritz) per intraprendere la navigazione a ritroso nell'oceano dei ricordi, e il secondo soltanto dopo aver abbandonato le vie dei mari intraprende le sue narrazioni di tema marinaro. Qui troviamo la riflessione sullo stile proustiano più tedesco che francese, con periodi lunghissimi (i paperoles di foglietti che arrivavano al metro di lunghezza!) figli della tradizione latina. E qui viene sottolineata l'identificazione del Proust-Narratore con Bergotte, il ritratto (di Anatole France)-autoritratto più riuscito dell'intera Recherche , incluso il particolare dell'«infarto» subito nel '21 da Marcel dopo aver visto a Parigi, al Museo Jeu de Paume, un'opera di Vermeer, il suo pittore preferito, proprio come accade a Bergotte di fronte alla Veduta di Delft .

Ma soprattutto è bello, e piacevole e confortante, pensando alla forza spirituale che può animare l'uomo anche nei momenti peggiori della sua vita, notare che il Proust ricordato e raccontato e spiegato da Czapski in un gulag è lo stesso del quale ci parlano, dalla quiete delle loro ordinate scrivanie, otto intellettuali francesi di oggi, riuniti in Un'estate con Proust dalla curatrice Laura El Makki (Carocci, pagg. 214, euro 15, traduzione di Gian Carlo Brioschi).

Anticipatore della clinica psicanalitica e sostenitore del potere salvifico, oltre che artistico, della memoria, Proust ci appare anche nei loro contributi come un Socrate che si rivolge, parlando dal passato, ai suoi discepoli-lettori.

Fra loro, in prima fila, c'è un ufficiale polacco che alla fine della seconda guerra mondiale andò a vivere (e a morirvi, nel 1993) a Maisons-Laffitte. Non molto lontano da Auteuil, dove nacque Proust.

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