Se l'omicidio è femmina e uccide il femminismo

Otto autrici per otto criminali, da Clitennestra a Pia Bellentani E per tutte l'attenuante generica di appartenere al... sesso debole

Se l'omicidio è femmina e uccide il femminismo

«Certe donne s'impongono d'un tratto e imprimono e pesano, restando per un tempo breve; altre ti segnano man mano, costanti, con ritmo e senza fretta e stanziano per sempre». Lo dice, in tono vagamente dannunziano, un uomo. Ma si capisce subito che a farglielo dire è una donna. L'uomo è Quintilio Polimanti, «un bel giovane, alto, capelli biondi e ricciuti» (questo lo dicono le cronache del tempo, anni di disgrazia 1913-14), diciannovenne, integerrimo attendente dei Bersaglieri di stanza a Sanremo. La donna è Elisabetta Bucciarelli, scrittrice che scrive per conto di Maria Elena Tiepolo Oggioni. La quale ultima, come a volte accade alle donne che amano troppo, prima si godette in lungo e in largo la compagnia del soldatino, ammirata dal modo in cui faceva divertire sulla spiaggia, incurante degli sguardi pettegoli, i di lei pargoli Gianna e Guido, avuti dall'ufficiale dei suddetti Bersaglieri Carlo Ferruccio. Poi, probabilmente recando in grembo il frutto del peccato, lo fece secco con un colpo di rivoltella.

Elisabetta Bucciarelli non può essere accusata di complicità nell'omicidio (anche perché la sentenza fu di assoluzione), essendo nata oltre un secolo dopo la sua... come vogliamo chiamarla? «Amica» è troppo intimo, «cliente» è troppo formale, «musa» è troppo ridondante. Non chiamiamola, dunque. Fatto sta che nell'antologia di racconti Il cuore nero delle donne (Guanda, pagg. 277, euro 17,50, a cura di Luca Crovi, da oggi nelle librerie) che comprende il suo L'ordinanza la solidarietà femminile delle autrici nei confronti delle (liberamente) romanzate criminali è il filo conduttore, il cordone ombelicale che nessun uomo potrà recidere. E sono tutte donne le quali, per citare il povero Quintilio, «ti segnano man mano, costanti, con ritmo e senza fretta e stanziano per sempre» a occupare le caselle di un risiko il cui scopo è, ben più della libertà dopo misfatti veri o presunti, la fascinazione del pubblico e della Storia.

Missione abbondantemente compiuta da tutte e otto. Oltre alla nobildonna Maria Elena, infatti, son tutte femmine rimaste a lungo sulla bocca dell'opinione pubblica, fino ad entrare nell'ipotetico «Canone del crimine». Prendete Clitennestra, «quel perfido mostro», come la chiama il marito Agamennone rivolgendosi a Ulisse nell'Ade. Clitennestra o del crimine , scrisse un'altra donna, Marguerite Yourcenar, I fuochi sulla montagna , scrive invece Marta Morazzoni, lasciandosi andare a una licenza poetica che aggiunge sale alle ferite subite mentre edulcora il male compiuto. Oppure prendete la meno nota, ma altrettanto dark , avvelenatrice Locusta, fra le prime serial killer della Storia. Nella Roma del primo secolo prima di Cristo, con vari intrugli fece alcune vittime, salvo poi, narra la leggenda, subire una singolare condanna ad bestias : divorata dalle fiere ma, prima, violentata da una giraffa. La giraffa non ne vuole saper e, titolo del racconto di Barbara Di Gregorio, ha un che di assurdo che stride con la disgustosa penitenza.

«Qualcosa gli faceva pensare che se Dio si era incarnato secoli prima a Betlemme, il demonio si era fatto umano adesso a Correggio», scrive Michael Gregorio del giudice Filippo Leonetti. La diavolessa di Correggio è ovviamente Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di tre ingenue pensionate. Per gli autori (Michael Gregorio è il nom de plume che nasconde Daniela De Gregorio e Michael G. Jacob) è La donna che spaventò la morte , il caso più nero nell'Italia nera di epoca fascista. «Se Hitler attacca la Russia, avremo altri problemi a cui pensare», taglia corto il capo della polizia Carmine Senise. Infatti... Ciò non toglie che pensare alla Landru in gonnella mette ancora i brividi. E poi Lucrezia Borgia, e la «belva di San Gregorio» Rina Fort, amante, contemporaneamente, di Eros e Thanatos nella Milano dell'immediato dopoguerra, e la contessa Pia Bellentani...

Ma, confessiamolo, l'unica in grado di suscitare un filo di simpatia resta la monaca di Monza.

Vista da Ben Pastor con un occhio che s'insinua nel pertugio lasciato incustodito da don Lisander, Marianna de Leyva, modello della Gertrude manzoniana, viene di fatto scagionata. La sventurata può finalmente rispondere a modo suo. È pur sempre una donna, no?

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