Si sono proclamati eredi del re dell'orrore (e di molto altro) Stephen King. Con qualche ragione, anche se l'autore di It pare molto lontano dalla pensione, visto che ha appena annunciato il sequel di uno dei suoi romanzi più famosi, il bestseller Shining, a suo tempo portato al cinema da Stanley Kubrick. Non c'è dubbio però che negli Usa e in Europa si faccia avanti una schiera di scrittori che ha imparato la lezione di King. Un tempo sarebbero stati confinati nell'ambito del genere, oggi aspirano al Pulitzer e ottengono recensioni dalle riviste letterarie «di serie A».
Karen Russell, nata a Miami nel 1981, arriva in libreria coi racconti di Un vampiro tra i limoni (Elliot, pagg. 250, euro 18,50). Il debito con King, dichiarato fin dal precedente romanzo Swamplandia! («sono sicura che senza di lui non avrei potuto scrivere certe cose»), è evidente in storie come Filare per l'impero, Farsi valere e soprattutto La bambola senza tomba di Eric Mutis. Rispettivamente: un realistico incubo in cui le ragazze nipponiche si trasformano in bachi da seta; un «western» spettrale; una magnifica, tormentata, angosciante indagine sul lato oscuro dell'adolescenza. Primi titoli di King che vengono in mente: La torre nera e The Body. Nel libro c'è poi molto altro, dalla satira delle saghe vampiresche alla prosopopea della politica ridotta a misura di stalla.
James Renner, ex autore di true crime, ha pubblicato L'uomo di Primrose Lane (Einaudi, pagg. 504, euro 19,50), il suo primo romanzo. Il richiamo a King è esplicito in diversi passi del libro, e anni fa Renner ha anche adattato e diretto un racconto del suo idolo All That You Love Will Be Carried Away. De L'uomo di Primrose Lane si può dire poco e niente. Parte come un noir classico, in cui un reporter famoso per aver scritto un bestseller sul caso di un serial killer si trova a indagare su una singolare vicenda di rapimenti e omicidi rituali. Giunti poco oltre la metà delle pagine, un colpo di scena clamoroso rovescia il romanzo come un guanto, avvicinandolo all'ultima produzione di King.
Lo svedese John Ajvide Lindqvist (1968) è diventato piuttosto noto con Lasciami entrare (Marsilio), un inconsueto horror vampiresco, lontano mille miglia da Twilight e affini, da cui è stato tratto un film diretto da Tomas Alfredson. Ora torna con Una piccola stella (Marsilio, pagg. 496, euro 13) e i paragoni, soprattutto della stampa inglese, con Carrie di Stephen King si sprecano. Una neonata viene trovata in un bosco e cresciuta in un seminterrato da una coppia di sbalestrati ex cantanti svedesi. La piccola, nascosta per anni agli occhi del mondo, ha una intonazione naturale straordinaria, che la porterà sul palcoscenico del talent Pop Idol, nonostante sia una squilibrata a causa della mancata educazione. Farà proseliti grazie alla televisione e al web. Ma con quali conseguenze? Ne esce una storia bella, selvaggia e pericolosa come la natura stessa.
Al centro il tema del doppio declinato in tutti i sensi: personale, perché dentro di noi c'è sempre qualcun altro, a noi stessi sconosciuto; culturale, perché dietro agli show tv e ai forum internet si cela qualcosa di antico e di tribale. L'ancestrale a volte prende il sopravvento, chiedendo un tributo alla nostra società falsamente libera, razionale e inquadrata.Un tributo di sangue e follia.
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