Il Tiziano ritrovato Quando un restauro è davvero salvifico

Un dipinto problematico smette di esserlo grazie a uno studio attento e illuminante. Ed è una festa

Il Tiziano ritrovato Quando un restauro è davvero salvifico

R itorna Tiziano, con un dipinto problematico, visto e studiato dai nostri maggiori, come punto di equilibrio fra Tiziano e Lorenzo Lotto. Forse questa non risolta incertezza lo ha tenuto tra le opere difficili in cerca d'autore.

Il magnetico ritratto è stato reso noto come opera di Tiziano da Mayer (1926) che vi leggeva la data 1538. Poco dopo Venturi (1933) - osservando che la cifra poteva essere letta 1538 come pure 1533 - la inseriva «in quella speciale famiglia di ritratti di Tiziano… accomunati dall'assoluta immobilità della posa».

Di diverso parere Berenson (1955) che, confermando la datazione al 1538 la riferiva invece a Lorenzo Lotto, sia sulla base di una nuova lettura della firma («io leggo chiaramente uno zo, la cui z è identica a quella del Lotto sulla pala di Ancona del 1550, e poi un ANTUS, trasformato in ANUS, in ZO è quanto rimane del prenome dopo il tentativo di cambiare la firma originale LORENZO LOTUS in quella di TITIANUS») sia per motivi di stile («Il personaggio è così lottesco, che bisognerebbe avanzare l'ipotesi - insostenibile - di un momento lottesco di Tiziano: più plausibile è che il Lotto abbia cercato, in questo ritratto, di avvicinarsi quanto poteva, alla tecnica del massimo pittore veneziano»).

Il Ritratto di gentiluomo, dopo il restauro, non lascia dubbi sull'autografia di Tiziano, con la riapparizione della firma e della data, 1533, accertata.
È ancor più notevole che ritorni in Italia un dipinto la cui storia era nota solo in America dopo una esportazione in epoca imprecisata, e con l'approdo a una destinazione prestigiosa, in un grande museo.

Tiziano coglie con straordinaria efficacia i caratteri fisiognomici e l'acutezza psicologica del personaggio che potrebbe essere in ragione dei libri un umanista, un giureconsulto. L'espressione intensa e pensosa e la posa solenne e autorevole. Richiamano la rettitudine dello spirito e la decisione nell'azione. La vibrazione luministica della materia, annuncia quella coinvolgente libertà di tocco che il maestro praticherà nelle opere del decennio successivo, di travolgente naturalezza (Ritratto di Pietro Aretino, 1545, Firenze, Pitti). Esempio straordinario ne è il tappeto, con una stesura quasi astratta, per definirne il «disegno Lotto» ricomponibile a distanza.

Dal 21 dicembre 1955 il Ritratto di Gentiluomo ha trovato casa nel Cleveland Museum of Arts a Cleveland, ed è singolare e istruttivo che sia ritornato in Italia per essere visto dopo più di 50 anni a Baldissero d'Alba, a partire proprio dal 21 dicembre di quest'anno.

Nel dubbio, il Museo di Cleveland ha ritenuto di esporre il dipinto senza procedere al restauro, che ci consente ora di vederlo con occhi nuovi respingendo la suggestiva ma ingiustificata deviazione del Berenson verso il Lotto, da cui lo separa l'esecuzione libera e impaziente.

Dallo sguardo penetrante, indomito, alla veste eseguita con pittura veloce, al taglio dell'architettura così nitida, ai tocchi di colore in libertà sul tappetto, il «Ritratto di gentiluomo» mostra il carattere e l'energia della pittura di Tiziano.

Ed è una festa riconoscerlo e vederlo in Italia.

L'esposizione

Curiosa sorte, quella del Fondo Peterzano. Se n'è discusso per mesi, dopo l'annuncio dei due ebook che attribuivano ben cento disegni delle raccolte del Castello Sforzesco al giovane Caravaggio. Ora che quei fogli sono visibili in una mostra nella Sala del Tesoro del Castello nessuno ne parla. Peccato, perché a osservarli da vicino non solo cade ogni possibile fantasia che riconduca al Merisi, ma anche l'idea che una parte significativa di quei disegni sia riferibile alla bottega del suo maestro, il bergamasco Peterzano. Di sua mano, a essere generosi, ce ne sono 12, che su 1200 pezzi fa un centesimo. Si conta inoltre una ventina di altri esemplari definiti dai curatori «strettamente legati allo stile e alla tecnica disegnativa del Peterzano, ma che denotano una qualità grafica inferiore». Sulla qualità conveniamo.

Sulla tecnica, al più ci si può spingere a dire che vengono da una bottega lombarda di tardo Cinquecento. Di contro, la maggior parte dei disegni esposti di un qualche valore è sì lombarda, ma del Seicento. Parlare di un Fondo Peterzano, alla luce di quanto visto, non ha più molto senso. Andrea Dusio

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