Gli ultimi passi del vecchio Millennio

Souvenir di un mondo perduto: i ragazzi del '99, il vestito buono, il bagno nella tinozza e le 5 lire

Gli ultimi passi del vecchio Millennio

Noi siamo i fortunati abitanti di due mondi. Dico noi che siamo cresciuti nell'altro millennio. Abbiamo infatti vissuto il raro privilegio di vivere un'infanzia antica, legata quasi alla preistoria del mondo, e una maturità postmoderna, proiettata nell'odissea dello spazio. Basta avere dai quarant'anni in su per poter dire di appartenere a una generazione nata nella preistoria e cresciuta nella poststoria. La storia, forse, ce la siamo persa.

L'abisso che separa la generazione che nacque negli anni Cinquanta dai loro figli è superiore a quello che separava noi dai bambini di duemila anni prima. C'era il boom economico, è vero, ma in provincia arrivava in differita, e al sud in terza visione. Il progresso s'attardava a fare shopping in città, dimenticando la periferia. Che cos'era il mondo prima del viaggio sulla Luna, del '68, della nutella e della tv? Ho visto i contadini antichi, storti e legnosi come alberi d'ulivo, le pecore e le galline vere, non in cartone animato. La provvista d'olio e di salsa come segni di ricchezza e di sicurezza per l'ancestrale paura di carestie. L'acqua che si manteneva fresca nel ciccinato, come si chiamava da noi l'otre che la conteneva. Era l'ultima generazione che curava gli ascessi dentali con gli impacchi di bietole e i vermi intestinali con l'aglio. I segni di modernità erano la brillantina linetti, il chinino, olà, spic e span. E poi le partite al calcetto giocate persino con il tappo di una bottiglia (da noi nota come chianella); le gare con la carriola in legno, o il gioco interminabile delle cinque lire al muro, una forma povera e antica di tennis mista a golf. Fummo l'ultima generazione che vide in faccia i ragazzi del '99 e gli ultimi vecchi dell'Ottocento, baffi in su, poche parole e tanta dignità. Quelli con l'orologio a cipolla nel taschino, il colletto inamidato e il bicchierino di rosolio in casa per le visite. Fummo forse gli ultimi bambini a uscire da soli la sera a otto anni, avevamo le chiavi di casa. Per noi Totò e Charlot erano due comici viventi e non due leggende.

Quella fu l'ultima generazione vaccinata come le mucche, marchiando il braccio, contro la poliomielite e la tbc, che chiamava la mensa scolastica refezione e risparmiava le cinque e dieci lire nell'apposito maialino di creta. L'ultima generazione che ha vissuto la domenica come giorno speciale, con la radio ad alto volume, l'odore di ragù per la casa e per le strade, il rito del bagno in vasca o in tinozza (la doccia non esisteva), e poi il vestito buono della festa, la camicia bianca con le stecche dentro il collo, le scarpe lucide di cromatina. L'ultima generazione che ha visto la differenza di classe, con i borghesi che si riunivano in una piazza o davanti al caffè e i contadini in un'altra. E il cappellaio che quando vendeva un cappello a un borghese dava un colpetto gentile sulla cima per dare il garbo al copricapo e curvare le falde; mentre se lo vendeva a un contadino dava un colpo rude dall'interno per gonfiarlo sulla testa e abbassargli le falde, come s'addiceva al cafone. Finirono le classi quando chiuse quel negozio di cappelli.

Era l'epoca in cui gli extracomunitari erano del posto e non spacciavano droga ma le bibite nel secchio d'acqua fresca, le noci di cocco, le castagne del monaco e le pelose. Si stava meglio, si stava peggio? Per carità, lasciate stare questi stupidi paragoni che ognuno falsifica sulla base della propria biografia, rimpiangendo nel passato la propria infanzia o maledicendo la propria miseria. Erano meglio e peggio, molto abbiamo guadagnato, e tanto abbiamo perduto. Posso solo dire che l'esercizio del ricordo è uno dei più dolci e nobili segni di umanità che fa bene al cuore e alla mente, anche se a volte fa piangere. Fanno male i filmati del nostro passato: vederli un anno dopo sono strazianti per la noia, rivederli trent'anni dopo sono strazianti per i volti e le persone inghiottiti nell'imbuto del tempo, che rinfacciano la vita ai superstiti, sfigurati dal tempo. A malapena sono sopportabili le foto; meglio la memoria e quel che resta impigliato nella rètina, anzi nella retìna, che cattura pesci di passato nel mar morto dell'antichità. Tutto sommato però dobbiamo sentirci dei privilegiati, avendo vissuto due vite. Abbiamo visto il piccolo, immenso mondo di ieri, come direbbe Stefan Zweig, durato millenni e finito solo pochi decenni fa. Entriamo nel terzo millennio dopo aver vissuto i millenni precedenti.

Piccoli eroi di due mondi, abbiamo usato la spada di legno e il cellulare, affacciandoci dal davanzale e dal display. Siamo stati un ponte e un passaggio, come diceva il vecchio Nietzsche. È stato bello.

31 dicembre 2000

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