Pubblichiamo in questa pagina un racconto di Ferragosto. Quest'anno a scriverlo è il nostro collaboratore Marco Cubeddu. Lo scrittore, nato a Genova nel 1987, ha esordito per Mondadori con il romanzo Con una bomba a mano sul cuore. Ha pubblicato numerosi racconti in antologie e riviste
Da quando la mia ragazza di mi ha lasciato odio Ferragosto, che fu il giorno fatale.
Direte: «È normale».
È quel che dico sempre anche io al Dr. Stucchi sul suo stramaledetto lettino.
Ma il mio esoso analista risponderebbe: «Non dopo sette anni!».
Stavamo insieme dal liceo. Volevamo sposarci. Fare una famiglia. Poi l'accompagno alla festicciola di compleanno del figlio di sua sorella. E ecco, insomma, non so voi, ma io non sono tipo da robe nella campagna ostiense, scartamento di regali, insetti, fieno, cani e cocacole in bicchieri di plastica. Amo l'asetticità delle catene alberghiere di lusso e i gin tonic perfetti da 12 euro a drink in ambienti frequentati da adulti ben vestiti. E odio i picnic di famiglia con cappelli di paglia e camice a quadri dove se chiedi «Dov'è il gin?» ti guardano storto e rispondono che «Forse c'è una mezza bottiglia di prosecco in frigo». Odio anche il prosecco. Se Dio ha inventato lo champagne, una ragione ci deve pur essere.
Comunque, per farla breve, cerco di appartarmi per fuggire all'orrore e dare una sorsata dalla mia fida consolatrice, una fiaschetta che fu di mio nonno buonanima, riempita di vigoroso whisky irlandese. Sono in riva al fiumiciattolo che costeggia la casa, profondo non più di 30, 40 cm, quando mi raggiunge il festeggiato, una fetta di torta in mano, l'aria ebete tipo il bambino di Shining . Mi sorprende mentre sono assorto (a quel tempo lavoravo in RAI e stava per partire un programma che avrebbe potuto consacrarmi come regista televisivo). Mi fa BUH!, io mi spavento, mi tocco il cuore, per segnalare all'aguzzino il probabile arresto cardiaco, e il piccolo insensibile demonio lentigginoso che fa? Mi tira la torta addosso, io inciampo, e pluf, la fiaschetta e il suo prezioso contenuto sono trascinati via dalla corrente insieme alle mie speranze di raddrizzare la giornata. D'istinto, do una piccola spinta all'aggressore, una lezione pedagogica tipo «a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria».
Ma quel piccolo figlio di puttana finisce nel fiumiciattolo, si aggrappa all'argine melmoso e inizia a urlare. Accorrono tutti. Che hai fatto?, mi chiedono. «È stato un incidente, senza nessuna intenzione. Non l'ho fatto mica apposta... ma può succedere a tutti. È stata una mancata coordinazione muscolare, nient'altro, capite, soltanto qualche kg di energia in più per secondo... per secondo!», provo a giustificarmi. Ma il bastardo piange, urla, distorce, vaneggia che ho cercato di affogarlo e nessuno, dico nessuno, si preoccupa del mio stato emotivo, dei miei ricordi perduti e - per Dio - del mio whisky. Mostro, dicono. Sua madre in lacrime mi paragona all'Uomo Nero. Perfino il cane mi abbaia contro.
Morale: la mia ragazza mi lascia la sera stessa. Non sono, ne sarò mai un buon padre, dice, e nel guazzabuglio di risentimenti, le mie suppliche e le mia spiegazioni («Solo qualche kg di energia in più per secondo!») cadono nel vuoto. Sbattendo la portiera della mia macchina dice: «Il tuo comportamento è i-nac-cet-ta-bi-le. Sei una brutta persona. Gli hai anche fatto cadere l'ultimo pezzo di torta del suo compleanno».
Ecco, il più miserabile dei miei Ferragosti.
Almeno fino a quest'anno.
Che poteva diventare anche peggio.
Il programma in RAI - una roba su libri e bambini, sigh! - non andò affatto bene. Dopo l'insuccesso venni accantonato e bivaccai, prossimo alla depressione, fino a trovarmi disoccupato. Diedi fondo ai risparmi, ridimensionai il mio stile di vita. Vi dico solo che l'apice della mia carriera professionale è un contratto a progetto con l'emittente Telesapory. Telecamerina in spalla, giro i servizi in diretta, da solo, senza troupe. Una cosa, diciamo, beh, il Dr. Stucchi direbbe che non può che farmi bene incontrare gente nuova ogni giorno, scoprire nuovi fenomeni culinari, assaggiare sapori tipici e... Vabbé, sentite, è un lavoro infame, la mia vita e il mio lavoro fanno pena. Secondo voi perché bevo e vado dall'analista?
Comunque, ieri il mio capo mi chiama: «C'è una nuova torta all'anguria che è una bomba in un chioschetto di Castelporziano, Ostia. Va a ruba! Il servizio di Ferragosto lo vogliamo da lì, ma non fare una cosa statica, come fai sempre, faccela dinamica, faccela, che ne so, che intervisti la gente che la mangia in spiaggia. Proprio delle riprese sulla spiaggia, la gente sdraiata al sole che la mangia in spiaggia, o in acqua, anche in acqua, falli mettere a mollo con la torta che si veda bene l'acqua, mi raccomando, entro le 13.30».
È chiaro che, appena messo giù, mi prendo una sbronza colossale.
Mi devo annebbiare.
Ma poi non sento la sveglia.
Così perdo treni, uno dopo l'altro (se solo i fiscalissimi vigili urbani non mi avessero ritirato la patente!).
Arrivo a Ostia in un ritardo mostruoso. Il telefonino squilla all'impazzata. Cerco il chiosco. Mi guardo attorno. La spiaggia è piena di trichechi che arrostiscono al sole delle due, sudati, sfatti, tozzi, impudichi: l'orrore.
Ma, soprattutto, l'orrore supremo: nessuno di questi miserabili ha in mano una fetta di torta.
Cosa riprendo? Vado avanti e indietro in cerca di gente che si strafoghi con questa follia tortesca. Ma niente. Di torta neanche l'ombra. Il telefono risquilla, rispondo: «Dove diavolo sei finito? Ti devi collegare subito!».
È il panico.
Corro al chiosco.
«Insomma la torta va a ruba?».
«Sta robba? Maddecché. È na stronzata. Però è nnidea de mio cognato che lavora in tivvù, m'aveva detto che oggi me mannava pure un cameramenne, un mezzo poraccio a facce un servizio, speramo che ci scappi la moda estiva speramo».
È il colmo.
Io, un grande regista, scambiato per un cameraman e ingannato dal cognato maneggione di un chioscaro!
Ma non ho tempo da perdere in autocommiserazione. Il Dr. Stucchi direbbe «Sii più zen».
«Emh, veramente, il, emh, cameraman, sarei io».
«Ma li mortacci tua ma nderi finito che te possino cecatte»?
Sto per obiettare che il mio superego non può accettare una simile delegittimazione quando, dietro di me, sento strillare: «La torta all'anguja, vojo la torta all'anguja!».
«Un attimo Luigino, ora la mamma appena il signore ha finito te la prende va bene?, ti prego di non avere un comportamento i-nac-cet-ta-bi-le».
Quella voce.
Dio, perché sei così crudele?, mi domando.
Mi volto. Ed è lei. Costume leopardato. Fede al dito. Per mano un piccolo mostro col naso affilato che grida: vojo la torta!
Per fortuna non sembra riconoscermi.
Il bambino inizia a correre e sua madre (quella stronza) lo insegue, lo placca: vojo la torta vojo la torta vojo la torta!
Guardo il chioscaro.
Lui guarda me.
«Nsomma che te serve?».
«Le torte», rispondo.
«Quante?».
«Tutte».
Pago e me ne vado.
Sono quasi in spiaggia quando sento urlare: «Che significa che non ci sono più torte perché le hanno comprate tutte?!?»
Mi giro e vedo il chioscaro che mi indica e la donna che mi guarda - mi riconosce - e resta paralizzata tra le urla del figlio: vojo la torta, vojo la torta!
Tiro fuori una fetta dal pacchetto e inizio a mangiarla lentamente, fissando quel piccolo bastardo viziato dritto negli occhi.
Poi proseguo verso il mare.
Sono una brutta persona per questo?
So già cosa mi dirà il Dr. Stucchi: «Un mese di respiroterapia, quattro volte a settimana, 150 euro a seduta».
In-ac-cet-ta-bi-le.
Anche perché, mentre mi
aggiro per la spiaggia, sudato, orrendamente sobrio, offrendo ai bagnanti una fetta di torta all'anguria, con il telefonino che squilla all'impazzata, penso che questo è il Ferragosto più bello della mia vita.twitter: @cubamsc
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