Il Vietnam dimenticato degli italiani della Legione Straniera

La tragica epopea degli Italiani nella Legione straniera andati a combattere in Indocina è ricostruita da Luca Fregona in "Soldati di sventura"

Il Vietnam dimenticato degli italiani della Legione Straniera

Vietnam nel corso del Novecento è diventato sinonimo di inferno bellico, dapprima per la durissima guerra di indipendenza combattuta dai guerriglieri indocinesi di Ho Chi Minh e Vo Nguyen Giap contro le forze coloniali francesi, sconfitte nel 1954 nella decisiva battaglia di Dien Bien Phu, e in seguito per il conflitto tra i due Vietnam, quello del Nord socialista e quello del Sud filo-occidentale, che vide l'intervento degli Usa conclusosi, nel 1975, con la più grave sconfitta strategica di Washington fino al recente scacco matto di Kabul.

Il Vietnam francese e quello americano hanno oscurato tanti piccoli, ma non meno tragici Vietnam. Ci fu un Vietnam sudcoreano, australiano e neozelandese all'ombra dell'intervento Usa negli Anni Sessanta e Settanta. E qualche decennio prima c'era stato un Vietnam italiano. Un Vietnam in cui combatterono i soldati italiani inquadrati nelle truppe della Legione Straniera.

7mila combattenti, dei quali un numero considerevole, 1.300, perse la vita in battaglia, per le ferite riportate, negli agguati Viet Minh o per malattia: l'impegno dei combattenti italiani nei reparti francesi fu considerevole e sempre in prima linea. Di questa epopea, come di tante altre della Legione, è rimasto un ricordo sbiadito che nel nostro Paese un recente saggio ha voluto colmare.

Soldati di sventura è il titolo dell'opera di Luca Fregona, che parla del Vietnam degli italiani e dell'inferno vissuto dai nostri connazionali a 10mila chilometri dalla Penisola. Un inferno che per i combattenti catapultati nell'Indocina francese in via di decolonizzazione tra il 1946 e il 1954 spesso era l'unica via di fuga da un presente di stenti. Dopo un primo momento, tra il 1943 e il 1945, in cui gli italiani arruolati nella Legione erano in larga misura ex fascisti, ex militari e persone con passati da nascondere o riscrivere, nel secondo dopoguerra fu spesso la miseria e la volontà di cercare un lavoro stabile a portare molti connazionali ad attraversare clandestinamente il confine alpino e, una volta giunti in Francia, scegliere la Legione come unica alternativa alla prigione o al rimpatrio coatto.

Il Vietnam francese fu tragico per i soldati della Republique condannati a combattere una guerra coloniale fuori tempo massimo. Lo fu ancora di più per gli uomini della Legione, che dietro l'aura di difensori della capacità della Francia di proiettare i suoi valori in senso universale erano spesso chiamati a sbrigare le operazioni più ardite e rischiose in una guerra che non era la loro. E men che meno era quella delle persone la cui parabola umana Fregona, caporedattore del quotidiano Alto Adige, descrive nel saggio. La storia di tre giovani suoi conterranei usciti da una regione che nei decenni precedenti era passata dall'essere periferia dell'Impero Austro-Ungarico a periferia alpina dell'Italia, per ritrovarsi alla periferia di un impero coloniale in disgregazione in una guerra senza esclusione di colpi, fuori dal tempo e dalla storia.

C'è la vicenda di Beniamino Leoni, un autentico avventuriero. Internato militare italiano, arruolatosi nel 1943 nella Repubblica Sociale Italiana per sfuggire, una prima volta alla fame, tra i guardiani del lager nazista di Buchenwald, poi disertore passato ai partigiani nel 1944 dopo esser stato inviato nella zona di Bobbio a operare nei rastrellamenti. Infine minatore in Francia nel dopoguerra ed entrato nella Legione per sfuggire, una volta di più, alla fame. Un uomo che nel corso della sua vita avrebbe ricevuto onorificenze per il suo ruolo nella guerra partigiana, che nell'inferno indocinese finì per disertare e passare con gli indipendentisti, che ha raccontato a Fregona. "Nella Legione ti trasformi. Non sei più uomo, sei solo un guerriero che deve stare attento anche ai propri compagni. Ci sono fascisti e nazisti tedeschi, ma anche tanti comunisti. Quando li scoprono, i comunisti, sono cazzi. Quando succede, maledici un'altra volta di essere nella Legione. Partono le corvée bois, le corvée legna. Significa solo una cosa: uno di noi non tornerà indietro dalla giungla perché è stato deciso che deve morire. Solo che nessuno sa chi. Vieni ammazzato come un cane mentre gli altri raccolgono sterpi e rami. La colpa viene poi scaricata sui viet".

Vi è poi la storia di Emil Stocker, uomo partito da Merano per arrivare al Delta del Fiume Rosso, che con la Legione è rimasto in Vietnam per quattro anni, sopravvivendo a Dien Bien Phu per poi morire nella silenziosa strage di una generazione coincisa con il Covid-19, nel marzo 2020. "Emil - spiega Fregona sul quotidiano da lui diretto - non aveva eredi. Dopo l'uscita del libro, ho avuto l’opportunità di entrare a casa sua per salvare documenti e foto dal macero. Ho trovato moltissimo materiale che mi ha aiutato a capire di più anche il dramma vissuto dalla sua famiglia dall’annessione dell'Alto Adige all’Italia nel 1918 fino alle opzioni del 1939", nelle quali scelsero di andare a vivere nel Terzo Reich. I suoi ricordi parlano invece di una Legione combattiva, indomita anche nel momento del crepuscolo di Dien Bien Phu, di testimonianze dell'insensatezza dei tentativi di arginare l'avanzata Viet Minh condannandosi all'accerchiamento.

Infine, la storia del bolzanese Rodolfo Altadonna, caduto nel 1954 dopo una lunga peregrinazione tra la Germania, l'infanzia nella Hitlerjugend, il ritorno in Italia, la naja nei paracadutisti del Reggimento Nembo, una breve esperienza da spazzacamino e, infine, il passaggio nella Legione dopo la fine del servizio di leva. Un passaggio breve e tragico, dato che Altadonna cadde in combattimento, venticinquenne il 21 aprile 1954 a Dien Bien Phu, tre mesi dopo la partenza da Orano per Saigon al termine dell'addestramento in terra algerina. Una peregrinazione finita in maniera tragica, ma che mostra l'enormità dell'esperienza legata al passaggio nella Legione di quei cittadini italiani che, non sempre per loro volontà, scoprirono il mondo nel loro Vietnam personale. Fino a fare della Legione una patria tutta loro, come dice il motto del corpo transalpino.

Una patria onorata o rinnegata, talvolta maledetta, a cui giocoforza si rimane vincolati per sempre. Una patria che portò dei figli di una periferia europea in un'altra periferia del mondo che reclamava la sua esistenza.

Soldati di sventura

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