Terry Hayes, nato nel Sussex nel 1951, già reporter investigativo, ha scritto le sceneggiature di film come Interceptor e Ore 10: calma piatta. Ora esce in Italia il suo primo romanzo, Pilgrim (Rizzoli). In questo pezzo, in esclusiva per il Giornale, racconta come iniziò a scrivere per il mondo del cinema.
Questo episodio risale a molti anni fa. Ero seduto in un ufficio a Melbourne, in Australia, quando la porta si aprì. Raymond Chandler, lo scrittore di noir e sceneggiatore americano, una volta disse: «Quando sei in dubbio, fai entrare dalla porta un uomo con la pistola in mano».
Quell'uomo non era un assassino. Aveva circa trent'anni e qualche chilo di troppo portato con disinvoltura, una testa di riccioli neri, un sorriso aperto, e qualcosa nei suoi tratti alludeva a origini greche. Era un dottore. Io mi trovavo dal lato opposto dello spartiacque sociale e professionale: avevo otto anni di meno e fino ad allora avevo lavorato come rettile del giornalismo. Si finisce per conoscere un sacco di gente in quel settore. Una delle mie conoscenze, un editore, aveva fissato quell'incontro. A quanto pare il dottore aveva diretto un film.
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Un paio di giorni dopo lo accompagnai in una casa in periferia per vedere insieme il suo film. Era ancora in lavorazione e stava facendo il montaggio in una camera da letto. O forse era il salotto. Quel che è certo è che non era una stanza lussuosa. Guardammo il film su un piccolo schermo in bianco e nero: diverse parti mancavano ancora e molti dialoghi erano troppo indistinti per essere compresi. Alle fine mi chiese che ne pensavo. Non conoscevo le abitudini di Hollywood allora, quindi non sapevo che in circostanze come quella la classica tattica è dire: «Che bella la musica. È una colonna sonora incredibile, chi l'ha composta?». Se mai farete un film, non fidatevi se qualcuno loda la colonna sonora. Ma già allora ero abbastanza accorto. «È molto interessante», risposi. «E a te cosa sembra?». Mi disse che pensava di aver raggiunto meno del venticinque per cento degli obiettivi che si era posto con quel film. Era chiaramente una cosa dura da ammettere, ma la disse senza rancore o amarezza, come un dato di fatto. Mi accorsi che iniziava a piacermi molto.
È strano come le persone che stanno per fare qualcosa di speciale molte volte non riescano ad accorgersene. Thomas Watson, il leggendario capo dell'IBM - una delle maggiori aziende al mondo nel settore informatico - pare abbia detto: «Penso che ci sia un mercato mondiale per forse cinque computer». Accadde la stessa cosa quel pomeriggio alla periferia di Melbourne. C'era questo giovane col viso fresco che aveva il ruolo da protagonista nel film. Io non ci vedevo niente di speciale, al contrario del dottore: di certo non ero seduto diritto sulla sedia convinto di assistere alla nascita di una star e di dover ricordare quel momento per raccontarlo ai posteri. Avevo solo un gran mal di testa per lo sforzo di seguire la sequenza di immagini.
Un paio di mesi dopo, il dottore mi chiese se volevo lavorare con lui alla sceneggiatura del suo nuovo film. Il compenso era... be', diciamo che non potevo permettermi di lasciare il mio lavoro. Così iniziavo il turno in radio alle cinque del mattino, staccavo all'ora di pranzo e lavoravo tutto il pomeriggio alla cosiddetta sceneggiatura con il dottore. Ricordo ancora come se fosse ieri il momento il cui scoppiò il panico. Siccome il dottore aveva già fatto un film, ero convinto che sapesse quello che serve per scriverne uno. Insomma: tensione, dialoghi, struttura, personaggi eccetera. Eravamo nel mio appartamento, persi in un labirinto di parole come sempre, quando a un tratto capii che forse il mio compagno di scrittura non ne sapeva molto più di me su come si sviluppa una sceneggiatura. In altre parole era come se un ipovedente guidasse un cieco.
Ero così sconvolto all'idea che gli vuotai addosso i miei dubbi. Ne parlammo così a lungo che non sento di tradire nessuna confidenza se dico che mi rivolse uno dei suoi affascinanti sorrisi e ammise che era d'accordo con me. Oh cielo. Da lì ebbe inizio un periodo di attività a dir poco febbrile. Sono sempre stato un lettore vorace e uno studente curioso, così iniziai un'indagine - una ricerca, se vogliamo - sulla natura della scrittura e sulle regole fondamentali della sceneggiatura.
Mentre procedevo con l'indagine mi ritrovai a leggere un'intervista di George Lucas, il creatore di Star Wars, in cui diceva che aveva tratto ispirazione da un libro di Joseph Campbell intitolato L'eroe dai mille volti. Campbell era un professore universitario americano esperto di mitologia.
Sostanzialmente nel suo libro afferma che in varie culture, seppur con diverse sembianze, la storia dell'eroe classico segue sempre un determinato schema: un uomo nato in circostanze insolite affronta un viaggio epico, viene messo alla prova fino a rischiare la vita e alla fine trova dentro di sé le risorse per trionfare e ottenere ciò di cui la sua comunità ha bisogno. La storia dell'eroe riesce a toccare corde molto profonde in ognuno di noi, dice Campbell, qualunque sia il nome dell'eroe: Mosè, Gesù, Re Artù, Giasone e gli Argonauti, Frodo Baggins. O Luke Skywalker.
Pensai che se era stato d'ispirazione per George Lucas poteva esserlo anche per me. Lessi il libro più di una volta. E lo stesso fece il dottore. Intanto uscì il suo film. Era intitolato Mad Max, il nome del dottore era George Miller e il ragazzo dal viso fresco che non mi aveva fatto una grande impressione era Mel Gibson. Io e George continuammo a scrivere, cercando di imparare il più possibile di drammaturgia e scrittura, tenendo sempre a mente il lavoro di Campbell. Quando finalmente terminammo la sceneggiatura, era piena di personaggi bizzarri, di parti narrate molto buone e sequenze di azione al cardiopalma.
Fu anche diretto molto bene, devo dire. Il film era Interceptor. Il guerriero della strada (1981): la devastazione post atomica secondo Joseph Campbell, se preferite.© 2013 - Terry Hayes.
Traduzione di Michela Pea
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