Il «cunto» catto-islamico di Scipione Cicalazadè

Fatto fu che una mattina, sul lungomare di Donnalucata, un bimbo, udita la storia narrata dal cuntista don Micio, si stranì. Stranizza d’amuri avrebbe potuto dirla, tanti anni dopo, un altro cuntista, Franco Battiato, e metterla nella sua canzone che così si chiama. Stranì, dunque, il piccolo Pietrangelo, alla narrazione di don Micio buonanima, e quindi trovò spavento quando vide volare via, trascinato dal vento fra cielo e mare, il telo su cui era dipinto il canovaccio e che mostrava il ritratto del protagonista della narrazione, Scipione Cicala.
Fatto è, tornando al presente, che quel bimbo ora uomo, di cognome Iettafocu o, secondo altri, Buttafuoco, letto per caso, «tra le carte di certi saraceni», il nome Cicalazadè, quarant’anni dopo ha deciso di raccontare nuovamente le vicende del «figlio di Cicala», navigatore-condottiero-corsaro del XVI secolo, «il Rinnegato» che lasciò Nostro Signore per Maometto. Per i turchi è Cigalazade Yusuf Sinan Pasa, ovvero Cagaloglu Yusuf Sinan Kapudan Pasa. Per i genovesi, invece, che contendono ai messinesi l’onore-onere di tenerlo per concittadino, è Sinàn Capudàn Pascià, cantato così da un terzo cuntista, dopo don Micio e Battiato, Fabrizio De André: «E digghe a chi me ciamma rénegôu/ che a tûtte ë ricchesse a l’argentu e l’öu/ Sinan gh’a lasciòu de luxî au sü/ giastemmandu Mumä au postu du Segnü». Cioè «E digli a chi mi chiama rinnegato/ che a tutte le ricchezze all’argento e all’oro/ Sinán ha concesso di luccicare al sole/ bestemmiando Maometto al posto del Signore»).
Fatto sarà che reggere il confronto con la vellutata lingua barocca del siculo Pietrangelo Buttafuoco in Il Lupo e la Luna (Bompiani, pagg. 200, euro 18) non s’addice a un similceltico recensore come chi scrive, ma crediamo d’aver dato l’idea di che cosa si tratta. Ammiccamenti filologici e prosa speziata sono i condimenti del succoso cunto. E siccome ogni cunto reca una morale, Buttafuoco di buon grado chiude un occhio sui dettami della storia ufficiale, facendo accucciare il Lupo (Cicalazadè) ai piedi della Luna (la donna da lui amata). Perché l’amore alla fine trionfa, e su questo punto Nostro Signore e Maometto concordano. Dal vivacissimo cucciolo coccolato dalla madre Lucrezia allo stanco e solitario predatore di ritorno alla tana d’origine: ecco la parabola del Lupo Cicalazadè ammirato da Solimano il Magnifico. Per terra e per mare esercitò potere e violenza, a cavallo fra Occidente e Oriente, nella seconda metà del ’500 si mise agli ordini della Mezzaluna, ma quella che portava nel cuore era la Luna intera, la sua Selene. E in fondo, come suggerisce De André, ha bestemmiato Maometto invece del Signore...


Già bersaglio delle accuse di filo-islamismo per il romanzo L’ultima del diavolo e per il saggio-pamphlet Cabaret Voltaire. L’Islam, il sacro, l’Occidente, questa volta Buttafuoco trova a difenderlo le colubrine e le scimitarre della fabula, del cunto. Ma qualche «sparata» (a salve) è già partita...

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