Roberto Scafuri
da Roma
Il solito centro di gravità permanente, i soliti noti. Nulla si crea nulla si distrugge. Soprattutto le posizioni di rilievo conquistate con anni di fatica, perché sacrificarle alla brutale logica dello spoil-system? Finora confinata nel culto segreto, nelle celebrazioni di baluardi ministeriali e uffici para-tecnici, la religione del Grande Centro ha un comandamento ferreo: non lasciare ad altri ciò che potresti avere tu stesso. Il posizionamento centrale è golosità pura: due forni, due pasticcerie, due tavoli, due alleati da scegliere a seconda della stagione.
Stagione politica, si intende, perché oggi la religione centrista si basa su altri misteri orfici: essere alternativi alla sinistra e nel contempo a Berlusconi. Un «mandato» che, secondo le voci di Palazzo, arriverebbe direttamente da quelli che il povero Tatarella definì nel 94 «poteri forti». Oggi si tratterebbe del gruppo dirigente di Confindustria, di qualche banchiere e finanziere di primissima fila, di qualche «vedovo di Stato» come vengono maliziosamente chiamati gli ex boiardi delle Partecipazioni statali. «Se così fosse - ragiona un cossighiano pentito - è lecito tirarsene fuori, perché nessuna iniziativa politica può relegarci a esecutori...».
Il centrismo, allora, rinasce come le mille teste di Idra e testimonia soltanto la voglia di sottrarsi a quello che ogni professore di scienza della politica predica, ovvero la trasparenza delle responsabilità. La possibilità di scegliere, bene o male, e di sapere chi ha scelto. In tale senso, centrismo può fare rima con cerchiobottismo e sarà per questo che nei salotti circola anche il nome di Paolo Mieli, gran direttore del Corriere della Sera, come intellettuale suggeritore del progetto. Mario Monti, economista, ex commissario europeo ed ex editorialista del Corsera, essendone invece lalfiere manifesto.
Loperazione parte dal presupposto di una successione politica a Berlusconi, in verità ancora al di là da venire, nonché di interessi convergenti di parte del ceto politico e (soprattutto) imprenditoriale. Ma questultimo aspetto, fin troppo evidente, costituisce tanto lanima del Grande Centro quanto, anche, il limite più grande. Se il dibattito finisce per essere imperniato sul deficit di cultura imprenditoriale che affligge entrambi i poli, come denunciava ieri Angelo Panebianco sul Corsera e ogni giorno il Riformista (che da dalemiano si è fatto promotore di un «bellissimo» rutellian-casinismo), ha buon gioco chi rileva nella politica il segno di uniniziativa che si rispetti. Il punto di partenza di De Gasperi, ricorda per esempio il senatore Francesco DOnofrio (stretta osservanza udc, centrista e berlusconiana al tempo stesso: quasi un miracolo) fu nella scelta internazionale. «Anche oggi questo nodo dovrebbe essere centrale - spiega -. Da che parte si sta, nel mondo di oggi? Se si sta con Israele, con gli Usa, lInghilterra, la Russia di Putin, la Turchia di Erdogan - altro che quintetto da pacca sulle spalle comè stato irriso - significa che Berlusconi ha fatto la scelta di campo giusta, significa che il centrismo non può non partire dalla continuità dei risultati. Troppo facile applaudire Sharon, ora...». Il riferimento a Monti e a Prodi, nella sua critica a Monti e allindecisionismo del centrodestra, è esplicito e voluto.
Quante speranze ha allora questo progetto che i più danno per «nato morto»? Rutelli e Marini vorrebbero ma, per ora, non possono. Mastella potrebbe ma, prima, vuole trattare i collegi con Prodi. De Mita e Mancino ci ragionano da mesi con prudenza. Sgarbi e gli altri, imprudenti, non aspettano altro. «Si lavora per lavvenire», ripetono intanto i progettisti. Si attende il Big Bang e si punta sul rosso di una sconfitta elettorale Cdl, che dovrebbe ricondurre Berlusconi a un ruolo imprenditoriale e subalterno alla politica.
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