Gargagnago (Verona)Piccole aziende crescono e si lanciano in orbita portandovi il sigillo del Made in Italy. Anzi, del made in Molvena, il paese del vicentino dove Lino Dainese, imprenditore mai stanco di reinventarsi, ha stabilito il quartier generale della sua società, la stessa che fornisce le tute a Valentino Rossi dopo aver vestito negli anni un nutrito drappello di grandi campioni, da Giacomo Agostini a Kevin Schwanz. Lha creata nel 1972 come laboratorio sartoriale per labbigliamento motociclistico e poi, attraverso continue intuizioni tradotte in originali e spesso rivoluzionarie soluzioni tecniche per la sicurezza, è riuscito a proiettarne il business, allargandolo ad altri ambiti sportivi e di applicazione, in una dimensione sempre nuova. Che ora giunge a 70 milioni di chilometri dalla Terra grazie al compito assegnato dalla Nasa e condiviso con il Mit di Boston di realizzare le tute per gli astronauti che nel 2030 partiranno (fondi dell'Agenzia permettendo) alla conquista di Marte. Per Dainese, al quale la Fondazione Masi ha appena assegnato il Premio per la Civiltà Veneta, è l'ennesima sfida: «Scoprire nuove strade è parte del nostro Dna. E poi, è una bella soddisfazione per chi crede nella tecnologia italiana. Ci hanno contattato perché conosciamo molto bene l'anatomia e l'ergonomia del corpo umano, abituati come siamo a proteggerlo nelle attività sportive estreme». Ed ecco il primo prototipo della BioSuit, una muta spaziale aderente destinata a mandare in soffitta le tradizionali tute goffe e ingombranti perché capace di pressurizzare il corpo direttamente, senza bisogno di gas. Gli specialisti del D-Tech Center, il reparto di ricerca e sviluppo dell'azienda, hanno risolto il problema più critico: fasciare le parti concave del corpo in modo che, anche in movimento, la pressione possa rimanere costante per permettere di operare fuori dalla navicella spaziale in agilità e scioltezza, faticando il meno possibile. Lo studio che sottende alle nuove BioSuit si basa sulle cosiddette linee di non estensione e risale agli anni 60: il Mit ha fornito i disegni e il team di Dainese, digitalizzata al computer la tuta, l'ha confezionata usando materiali, macchine e tecniche particolari. Ogni anno l'azienda di Molvena investe in ricerca e sviluppo almeno il 3% del fatturato di gruppo, cifra che nel 2008 ha sfiorato i 4,5 milioni di euro: niente male per una realtà di 500 addetti che ha abituato il mercato a un flusso costante di piccole e grandi innovazioni. Come l'airbag applicato alla tuta dei piloti del motomondiale e battezzato Air Racing, capace di gonfiarsi all'istante in caso di caduta proteggendo spalle, clavicola e collo, laddove le protezioni tradizionali non arrivano. Entro il 2011 dovrebbe giungere sul mercato la versione per la strada, un gilet intelligente concepito per proteggere anche nello scontro con altri mezzi, muretti e ostacoli fissi. I costi sociali degli infortuni bastano a sottolineare l'utilità della ricerca. Nessuna cordicella per attivare i cuscini, ma un sofisticato sistema che sfrutta giroscopi e accelerometri, con sensori che registrano pressione, vibrazioni e distanza dal suolo, asserviti a un algoritmo messo a punto dalla task force del D-Tech: una cinquantina di tecnici, medici e ingegneri che collaborano con centri di eccellenza come il Cefriel, il Politecnico di Milano e pure con atenei come l'Imperial College di Londra e le università di Tel Aviv e Oslo. «Con quest'ultima - dice Dainese - abbiamo approntato un programma per dotare del nostro airbag gli atleti di snowboard, sci e salto alle Olimpiadi invernali del 2014. Più in generale, le protezioni che abbiamo sviluppato si possono applicare oggi anche ai bambini e agli anziani».
E poi, visto che già spaziano dal downhill a sport acquatici come il kite-surf e il jet-ski passando per l'equitazione, perché non impiegarle anche in ambito militare? L'idea, che sembra piaccia molto al nostro Stato Maggiore, è chiara: dotare i soldati a bordo dei blindati Lince di uno smart jacket con airbag, utile in particolare al mitragliere, esposto in torretta. A Lino Dainese non basta e già accarezza la sfida più ambiziosa: realizzare una tuta per i paraplegici che, agendo come uno scheletro esterno con appositi sensori e attuatori, possa rimetterli i piedi.
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