Dall’Etiopia al Massachusetts, il jazz degli E/O

L'appuntamento che Aperitivo in Concerto propone al suo pubblico domani alle 11 al Teatro Manzoni in esclusiva italiana, è di certo uno dei più interessanti e particolari della stagione. Arriva la Either/Orchestra fondata nel 1985 a Cambridge, Massachusetts, dal sassofonista Russ Gershon che ne è tuttora il direttore. I milanesi che seguano con attenzione le vicende della musica africana-americana la ricordano per un'unica apparizione, nel novembre 1998, sul palcoscenico del jazz club più antico della città, le Scimmie di via Ascanio Sforza. Chi c'era ha ammirato l'intensità della performance, molto professionale e nello stesso tempo ricca di entusiasmo forte e spontaneo.
Il nome insolito della formazione, si legge nel programma di sala, fa riferimento alla forma retorica del legame fra congiunzione e disgiunzione, E/O. La si potrebbe definire «orchestra dell'anche» o delle possibilità, mettendo tuttavia in evidenza il suo speciale intreccio con la musica e la cultura dell'Etiopia «che non è affatto superficiale, dal momento che interessa i componenti della formazione ormai da un decennio». Si tratta comunque di uno dei vari approcci sviluppati da E/O da quando si è riunita 25 anni fa, ed è quello proclamato da Aperitivo nell'annuncio di «un'orchestra che incontra i grandi protagonisti dell'Ethio-Jazz, vale a dire la voce di Mahmoud Ahmed e il vibrafono e le percussioni di Mulatu Astatke», due vigorosi sessantenni nati rispettivamente a Jimma e Addis Abeba. Gli altri musicisti sono Russ Gershon sax tenore e soprano, Tom Halter e Dan Rosenthal trombe, Joel Yennior trombone, Hailey Niswanger sax alto, Charles Kohlhase sax baritono, Rafael Alcala pianoforte e tastiere, Rick McLaughlin contrabbasso, Pablo Bencid batteria, Vicente Lebron congas e percussioni.
Ciò significa che la parte stabile di E/O, costituita da dieci musicisti, si configura come un organico che gli americani chiamano «little big band» o meglio «almost big band», un'orchestra quasi grande. E fra i dieci, due sono trombettisti, uno trombonista (ma si sa che talvolta sono due) e tre sassofonisti. Sei (o sette) fiati, quindi, che accostano E/O alle tante orchestre simili che abbondano nel jazz e che sono protagoniste di episodi e di svolte importanti. Si pensi, senza andare troppo indietro nel tempo - ma si potrebbe - alla magnifica Brass Fantasy di Lester Bowie, al gruppo di Miles Davis di fine anni Quaranta che passò alla storia come artefice della nascita del cool jazz e a certe formazioni di Charles Mingus, Thelonious Monk e Archie Shepp. Claudio Sessa, scrivendo di E/O, chiama in causa con ragione anche il Kollektief del direttore olandese Willem Breuker.
E ancora, è facile osservare il tenace attaccamento di E/O a Cambridge e alla vicina Boston, «quasi ignorando il potente magnete di New York», per cui fa venire in mente le territory bands degli anni Venti e Trenta. Tali orchestre agivano al di fuori delle maggiori città americane del jazz, ma proprio questa caratteristica della loro attività le rendeva rilevanti sul piano propedeutico e diffusivo dei suoni africani-americani.

Inoltre, Cambridge fu la città natale del non dimenticato sassofonista ellingtoniano Johnny Hodges e Boston è la sede della celebre Berklee School of Music. Ecco la ragione della notevole presenza di composizioni di Duke Ellington nel repertorio di E/O.

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