David ci crede: "Difficile andarsene dal Milan"

Beckham: "Non sono venuto a Milano per la moda... Aiuterò la squadra e riconquisterò Capello. Sono onorato di giocare con Maldini, Kakà e Pirlo". Avrà la maglia che fu di Vieri

David ci crede: "Difficile  andarsene dal Milan"

Milano Si può essere felici, come un bimbo portato al luna park, anche se di nome fai David Beckham, hai una moglie ingombrante come Victoria Adams, e sei una specie di divinità per le ragazzine che strillano davanti al tuo albergo o per i fotografi che ti pedinano di notte. Si può essere felici, come succede appunto a David Beckham, appena sbarcato a Milano, con aereo Fininvest, nel diventare la figurina numero 32 (stessa maglia di Vieri, vuol dire qualcosa per la smorfia?, ndr) del Milan pieno di acciacchi, di ritardi e di gloria incancellabile. Con un minuscolo rimpianto («sul contratto c'è scritto che il 9 marzo devo tornare negli Usa») che può trasformarsi in un tormento. «Chissà, un giorno vorrei tornare e fermarmi più a lungo, da bimbo ho sempre avuto una foto del grande Milan, è un sogno che diventa realtà. Di sicuro, quando dovrò ripartire, non sarà facile per me» la frase che si può incorniciare nel giorno di Beckham a Milano, il primo di una storia piccola piccola, della durata di poco più di due mesi. Non costa un solo euro l'operazione Beckham, la cifra dell'assicurazione a carico della società che ne ha la delega: piuttosto qualche spicciolo può ricavare il Milan dalle 2-3 amichevoli da piazzare nelle date lasciate libere dall'eliminazione in coppa Italia.
Si può essere felici a 33 anni, compiuti da qualche mese, specie se si scopre, come succede al semplice David di provare «una grande emozione» pari a quella di un debuttante qualunque, «per essere finito nel club più titolato al mondo». E passi se poi un'attenta cronista inglese scopre che nella sua biografia ufficiale non c'è traccia della passione antica per il Milan. «Chissà, l'avrò dimenticato» confessa l'interessato colto in flagranza di bugia.
Non è solo felice, emozionato. Ma, come garantiscono gli esiti delle visite mediche e le assicurazioni firmate da Adriano Galliani, anche in buonissima salute. «Pronto per giocare nel calcio italiano» azzarda il vice-Berlusconi che confessa d'aver sfiorato l'acquisto di Beckham nell'estate del 2007 quando il Milan si mise a caccia di stelle. Arrivò, a gennaio, Ronaldo, stessa provenienza, Real Madrid, seguito da un giovanissimo Papero che è forse il tesoro di domani. «Cercherò di lavorare, di inserirmi subito, di lavorare al fianco del team per aiutarlo a vincere qualcosa nella stagione» è la sua promessa resa credibile dai giudizi, sul professionista, firmati da Fabio Capello e Arrigo Sacchi che non sono mai sulla stessa lunghezza d'onda quando discutono di calcio. Su Beckham concordano entrambi: «Eccellente professionista». Ma il Milan ed Ancelotti hanno bisogno di altro. «Io sono convinto di riuscire a dare loro una mano, sono onorato di giocare al fianco di Kakà e Pirlo, di potermi allenare con Maldini. Devo capire il calcio italiano, spero di farlo in fretta» è il suo obiettivo dichiarato.
A chiedergli di allenarsi in modo duro e di giocare per meritarsi la nazionale inglese fu Capello. E al pari di Capello il suo ds Baldini approvarono la scelta Milan. «Appena feci quel nome, loro dissero al volo sì. Adesso voglio riconquistare la nazionale» racconta. «Mi sono già innamorato di Milano e dell'Italia» per esempio. Oppure: «Non vedo l'ora di provare da vicino la difficoltà del calcio italiano, sono conquistato dalla passione che c'è per il calcio». O ancora: «Qui c'è Mourinho che conosco e stimo, vorrei affrontarlo nel derby di Milano. Non sarà come a Madrid o a Manchester ma quasi». È evidente che gli manca il calcio che conta, la Champions league («ricordo ogni minuto di quelle sfide») e pure la Nazionale inglese, magari anche il mondiale intravisto come l'ultima occasione da vivere come un calciatore, non come il marito di Victoria Adams. Perciò il Milan rappresenta una specie di oasi nel deserto. «Non sono qui per la moda, ma per indossare la maglia del Milan» la sua garanzia prima di abbracciare Ancelotti e di immaginarsi allenato alle pressioni dei media, agli inseguimenti dei fotografi, al pressing dei giornali di gossip. «È stato così anche a Madrid, nei primi sei mesi ho sofferto ma poi ho finito per concentrarmi solo sulla mia attività, che è la cosa che mi interessa di più, subito dopo la famiglia» la sua chiosa. Ha davanti agli occhi Victoria, uno scricciolo di donna, in tubino nero, capelli corti corti, gioielli della sua linea: i loro sguardi si incrociano ogni due minuti.

Lui, David, fasciato con la divisa Dolce e Gabbana del Milan, comincia già a pensare al giorno in cui dovrà partire per tornare negli Usa. Magari solo per preparare lo sbarco definitivo, da queste parti, a Milano e col Milan. Per scrivere una storia che non può finire così. Con una toccata e fuga.

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