Da De Chirico a Warhol vita tra arte e personaggi

Lisa Sotilis, pittrice, scultrice, creatrice di gioielli e assistente "storica" di Giorgio De Chirico. Una vita contaminata dall'arte. "Nureyev veniva spesso a casa mia e si travestiva da Salomè"

Da De Chirico a Warhol vita tra arte e personaggi

Milano - Un’esplosione di colori. Parlare, anche al telefono, con Lisa Sotilis è un’esperienza cromatica. Pareti dipinte con scene mitologiche, vestaglie colorate, gioielli, dipinti. E poi tutte le possibili nuances dell’essere artisti. Pittrice, scultrice, creatrice di gioielli e animatrice culturale. Nei favolosi settanta, ama ricordare, la sua casa milanese in via Dante era un cenacolo culturale. Catalizzava artisti da ogni parte del mondo. “Rudolf veniva da me a rilassarsi”, racconta con understatement la Sotilis, e il Rudolf in questione è Nureyev. Sarà l’origine greca, l’amore per il classico, la fascinazione per il colore, ma attraverso la Sotilis tutto diventa arte. Anche la sua vita. E’ stata l’unica assistente di Giorgio De Chirico e fino al 20 maggio è impegnata in una mostra a Urbino dedicata a lei e al grande scultore italiano.

Signora Sotilis, quale è stato il suo primo approccio con l’arte?
Il mio primo contatto con l’arte è stato precocissimo. Avrò avuto uno o due mesi. Mentre ero in braccio alle mie balie, ad Atene, mi distraevo sempre e cadevo. Ero attirata dalle vestaglie di mia mamma, dai loro colori e dai loro disegni. E ho iniziato subito a disegnare. Ero un enfant prodige. Mi avvolgevo con le vestaglie, giocavo coi colori. Non mi interessavano le bambole e i giochi.

La Grecia, una terra di sole e colori che non può averla lasciata inalterata.
Certo. I modelli e le visioni della classicità per me sono sempre stati fondanti. Gli auspici solari della mia terra sono stati fondamentali. Tutta l’ispirazione mediterranea, la Grecia, quindi, ma anche l’Italia, dove sono venuta per la prima volta a quindici anni. Una delle prime città che ho visitato è stata proprio Urbino, una città favolosa che mi ha trasmesso un’elettricità positiva.

Una carriera iniziata prestissimo, che ha incrociato i mostri sacri dell’arte del Ventesimo secolo.
Sì la mia carriera è iniziata molto presto e, in un certo senso, ho avuto la strada spianata. Già da piccola in Grecia ho vinto molti premi con le mie opere e poi a Berlino, a sedici anni, la svolta.

E una serie di incontri con uomini straordinari. Nureyev per esempio, per il quale ha anche disegnato dei gioielli.
Sì, Rudolph veniva spesso a casa mia a Milano. Era una persona molto particolare, sensibile. Dopo i suoi spettacoli amava venire da me per rilassarsi. Si metteva in pantofole, suonava il pianoforte, giocava coi miei molti cani. Una volta si è anche mascherato da Salomè, coi miei gioielli e i miei vestiti, e ha inscenato uno spettacolino atteggiandosi da diva. Era una persona eccezionale.

La sua dimora milanese era un ricettacolo di artisti.
Sì, erano gli anni settanta, un’esplosione di creatività e di energie positive. Sono passati tutti dalla mia casa in via Dante. Magritte era una persona di una modestia impressionante. Una volta a casa mia, con sua moglie Georgette, l’ho chiamato maestro e lui (la Sotilis inizia a riportare, parola per parola, il discorso di Magritte in perfetto francese. Nda) ha detto che l’unico artista che poteva fregiarsi di questo nome era Giorgio De Chirico. Si rende conto che persona modesta?

Sì, incredibile. Come tutta la sua vita e la sterminata aneddottistica. Mi parli di De Chirico. Lei è stata la sua unica assistente.
De Chirico era un persona fuori dalla norma. Di un umorismo incredibile che spesso non veniva capito. Scherzava sempre, ma lo faceva parlando sul serio e la gente non lo capiva. Era scherzosissimo. Per lui tutto era un gioco. Recitava sempre, indossava perennemente una maschera come quelle del teatro greco. E lui si stupiva del fatto che io ridessi delle sue dichiarazioni, che capissi quello che voleva realmente dire. Era un genio ed entrare nel suo mondo magico era concesso a pochi.

Come vi siete conosciuti?

Alla mostra di Berlino, nel 1965. Poi sono diventata la sua assistente. Giovanissima e unica assistente. Sì, nessuno poteva avvicinarsi alle sue opere, toccarle e vederle. Solo io. Era molto selettivo, rigoroso. Ho imparato molto da lui.

A questo punto ne approfitto. L’occasione è ghiotta. Mi parli di altri suoi incontri.

Bè, ero molto stimata anche da Salvador Dalì. Una persona originalissima. Mi aveva anche proposto di collaborare. Voleva fare dei gioielli con me.

E poi?

Non ho accettato, ero troppo giovane.

Ha rifiutato una collaborazione con Dalì?
Sì, lui era troppo famoso e io ero agli inizi non volevo cofirmare un’opera con lui. Non volevo approfittare della sua grandezza e della sua fama. Avrei dovuto collaborare anche con Andy Warhol.

Si negò anche al guru della Pop Art?

No in quel caso la collaborazione non andò a buon fine a causa della sua prematura morte. Io e Andy eravamo molto amici, mi ha fatto dei ritratti e molte fotografie. Avremmo dovuto realizzare dei quadri con dei miei gioielli per il mercato giapponese.

Che tipo era?
Genialissimo e allo stesso tempo molto chiuso. Non era facile avvicinarlo, non legava facilmente. Era una persona molto originale, unica.

Lo sa che la sua è una vita straordinaria?
La mia è una vita normale. Per me è naturale vivere così. Magari per chi mi sta attorno è un po’ strano, ma io sono nata così.



Progetti per il futuro?

Tantissimi, sono ubriaca di progetti. Finita la mostra a Urbino devo andare in Giappone per cinque rassegne (dove stanno facendo un film su di me) e poi a Singapore e Hong Kong e poi tornerò in Giappone. La vita degli artisti è così.

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