Alla vigilia del suo compleanno, pochi potrebbero sostenere che lEuropa sia una splendida cinquantenne. Ai prossimi festeggiamenti per il Trattato di Roma che lhanno messa al mondo nel 1957 a primavera appena cominciata, la Signora si presenta claudicante, pur sostenuta dalle stampelle di ben ventisette Paesi che la fanno camminare. E si mostra con una carta didentità che non dice quale sia la sua identità, mancando perfino linnocente riferimento alle note «radici cristiane» nella Costituzione. E si esibisce con un paio di robusti corteggiatori che lhanno nel frattempo ripudiata a colpi di referendum; sallude agli ex ammiratori, e mai troppo ammiratori in verità, che si chiamano Francia e Olanda. E si affaccia, madama Europa, con una credibilità internazionale quasi inesistente. Basti il ricordare che lUnione dei 27 non figura in quanto tale neppure al vertice dellorganizzazione planetaria per eccellenza; quel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che predilige avere a che fare con gli Stati in carne e ossa, non con la loro proiezione ideale o somma aritmetica che in mezzo secolo di promesse hanno fallito più di quanto abbiano mantenuto. Né è il caso di rimarcare, per carità di Continente, la vacuità della politica estera e militare espressa da questUnione degli incerti. Unione che sè spaccata ogniqualvolta è stata chiamata a intervenire nelle aree bollenti della Terra, dedicandosi per il resto del tempo a criticare gli Stati Uniti dAmerica dopo aver loro delegato il compito di togliere le castagne dal fuoco: vadano avanti loro, che a lei, lei Europa, veniva da piangere.
Se i celebratori delleuropeismo che poteva essere ma non è, vorranno trovare qualcosa da elogiare, essi non potranno che accontentarsi delleconomia. È in questo solo e rilevante ambito che lEuropa ha dato i migliori risultati di sé, in un certo senso confermando le idee di quanti affermano che questo, e soltanto questo, sia il ruolo da attribuire con realismo alle molte nazioni associate allinsegna di un comune destino. Non dunque lidentità «una nella diversità», comè scritto nel preambolo dellultimo e formale documento, e che non si è affatto propagata secondo le speranze (e la propaganda) riposte. Né ci si può appellare allauspicio di una visione politica continentale e internazionale fragile e confusa. È invece laspetto commerciale, finanziario, monetario - in una parola: economico - il progresso riconoscibile e condivisibile di cinquantanni di storia politica e pacifica europea. Rispetto ad allora gli europei stanno meglio, molto meglio. Sotto il profilo istituzionale essi oggi costituiscono e sempre più possono costituire una rassicurante potenza economica.
Parafrasando, lEuropa è una pura espressione economica. E allora ci risparmino almeno la retorica, quelli che saccingono a commemorarla come la favola di una nuova patria che non cè.
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