Non varrebbe la pena di spendere troppe parole sulla ridicola vicenda inscenata da Pino Pizza, «tenutario» dell'antico e glorioso simbolo scudocrociato, se questo disgraziato capitolo, che si impone all'attenzione dell'opinione pubblica e consuma tempo prezioso di importanti corpi dello Stato, non fosse l'espressione, anche simbolica, della degenerazione partitocratica del nostro paese.
Il signor Pizza, grazie a chissà quali cavilli giuridici, sfrutta oggi il possesso (peraltro contestatissimo da una schiera di altri presunti eredi dc) del simbolo della più importante forza politica della storia della Repubblica, pur rappresentando il nulla dal punto di vista politico ed elettorale, per non parlare di quello ideale. Se non fossimo nel paese di Pirandello e di Pulcinella, ci si dovrebbe chiedere come sia possibile una tale aberrazione, che costringe il governo e i massimi organi giudiziari e costituzionali, oltre alle forze politiche di primo piano, a fare i conti con siffatte miserevoli vicende nel pieno di una campagna elettorale in cui si dovrebbero decidere le sorti del paese.
Quando ho sentito parlare di ripristino della legalità e di Stato di diritto mi sono venuti i brividi alla schiena. Ma la verità è più semplice: Pizza è la quintessenza del degrado partitico in cui l'Italia è progressivamente scivolata da tempo. Quando accadono fatti simili sembra che nel nostro paese non contino le idee e le forze politiche radicate nel passato e nel presente, bensì la capacità di sfruttare i marchingegni che partiti, partitini e gruppi hanno messo in piedi per meglio proteggere le oligarchie partitiche aggrovigliate intorno alle etichette, ai privilegi e ai traffici.
Perché mai dovrebbero contare i simboli di partito, di per sé, e non la loro effettiva realtà storica e politica? Perché i gruppi e gruppetti di infinitesima inconsistenza devono avere accesso al denaro pubblico e alle altre provvidenze politiche? Perché giornali e giornaletti senza alcun significato devono essere pagati da tutti noi? Perché ci si può presentare alle elezioni in coalizioni - e magari avere dei rimborsi elettorali - senza alcun filtro che misuri l'effettivo consenso minimo di cui si gode presso l'elettorato? Perché non si introduce in Italia, come altrove, il filtro della cauzione elettorale che si perde se non si raggiunge una certa soglia? Perché si può contribuire a determinare la maggioranza (che dà diritto al premio e quindi al governo del paese) anche se si rappresenta lo 0,1 o lo 0,2% del voto nazionale per cui sigle e partiti fasulli vengono moltiplicati a puro scopo strumentale?
Gli interrogativi potrebbero continuare. Sono queste le anomalie della democrazia elettorale italiana su cui possono allignare i Pizza d'ogni risma. Le forze maggioritarie del paese, e quelle che esprimono davvero importanti tradizioni ideali, dovrebbero meditare sugli infiniti guai che sono lievitati intorno alla visione di una politica tutta incentrata sul potere formalistico dei partiti nei loro più avvilenti aspetti.
Se non vogliamo essere sommersi dal grillismo che è l'altra faccia del pizzismo, i vincitori del prossimo 14 aprile dovrebbero dare una scrollata alle superfetazioni del sistema partitico, parlamentare e istituzionale che si sono addensate in questi anni.
Massimo Teodori
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