Nei grandi festival, grande è la dimensione. Di solito il resto è piccolo. A che cosa servono, allora, i piccoli film dei grandi festival? A far lavorare registi marginali come Tsai Ming-Liang, autore di uno dei più deliranti film da festival: Il buco (Cannes, 1998). Tsai Ming-Liang ha nostalgia per la Nouvelle vague e la trapianta nella Taipeh di oggi, ideando vicende sempre strampalate, come questa del Gusto dell'anguria, premiato all'ultimo Festival di Berlino per contributi speciali non meglio definiti: dato che il film racconta di un pornoattore - lo stesso personaggio vendeva orologi per strada in Che ora è laggiu? -, la motivazione suscitò commenti salaci. Perché riparlare del film? Perché gli esploratori di cinema d'essai ci troveranno - se piove e loro sono senza ombrello e senza fretta - un cielo secco d'oriente, che induce il protagonista (Lee Kang-Sheng) a fare il bagno nel residuo del serbatoio condominiale e la coprotagonista (Chen Shiang-Chyi) a leccare un'anguria con trasporto e a rubare acqua dai bagni pubblici.
Oltre a questa promiscuità idrica, ci si scambiano fluidi corporei buffamente, sempre che le copule seriali siano ancora buffe.IL GUSTO DELL'ANGURIA di Tsai Ming-Liang (Taiwan 2004), con Lee Kang-Sheng, Chen Shiang-Chyi. 109 minuti
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