Era gremita l'aula della I corte d'Assise d'Appello di Roma mentre il professor Franco Coppi cercava di convincere i giudici ad assolvere Raniero Busco dall'accusa di aver ucciso Simonetta Cesaroni, in via Poma il 7 agosto del 1990. Per il principe del foro che nel processo di secondo grado ha assunto la difesa dell'ex fidanzato della vittima (già condannato a 24 anni di carcere per il delitto) Busco deve essere assolto: «Chi ha ucciso Simonetta è un mostro e questo mostro non è l'imputato». Il penalista ha parlato a lungo della personalità di Busco, al quale si è cercato di «cucire addosso gli stracci di un uomo irascibile, violento, capace di passare dall'ira alla ferocia», mentre in realtà i colleghi di lavoro e gli amici lo descrivono come una persona «mite, corretta e per bene» e gli stessi familiari della vittima hanno confermato che tra Raniero e Simonetta c'era un comportamento normale e che lui non ha mai compiuto gesti violenti nei confronti della fidanzata. Certo, il rapporto tra i due era sbilanciato: lui voleva solo sesso, lei desiderava amore, coccole e tenerezze. Ma questo, ha ribadito Coppi in aula, Busco non lo ha mai nascosto agli inquirenti, anzi è stato il primo a descrivere così la relazione che lo univa alla giovane impiegata. La difesa insiste sull'assenza di movente: «Busco non aveva alcun motivo di uccidere Simonetta. La sentenza di primo grado ci propone un movente sessuale, ma negli atti processuali non c'è alcuna prova in tal senso». E per Coppi sarebbe «priva di senso» la tesi dell'accusa secondo la quale quel 7 agosto Raniero avrebbe improvvisamente perso la testa e si sarebbe avventato sulla fidanzata, dalla quale per altro aveva quello che desiderava, «provocando la reazione di quest'ultima e i colpi mortali». L'avvocato Coppi è poi passato agli aspetti tecnici del processo, forte della perizia super partes che ha di fatto scagionato Busco e che il procuratore generale ha fortemente criticato nella sua requisitoria.
«Una perizia - ha detto il legale - dovrebbe valere più di una consulenza che ha il limite di essere di parte, comunque tutti possono sbagliare, ma il professor Corrado Cipolla D'Abruzzo è stato perentorio: quello sul capezzolo sinistro non è un morso in quanto manca l'opponente, se fosse tale non sarebbe possibile attribuirne la paternità e comunque per infliggerlo si sarebbe dovuta assumere una posizione assurda». Domani è prevista la sentenza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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