«Diaz», Scurati ha visto solo metà film

di Alessandro Gnocchi

Addirittura «un dovere civile». Il fortemente controverso film Diaz di Andrea Vicari, nelle sale da qual che giorno, sarebbe l’occasione per far entrare i fatti del G8 di Genova nella memoria collettiva. Perché dice la verità. Questa è l’opinione dello scrittore Antonio Scurati, espressa in un lungo articolo con partenza in prima pagina sul quotidiano la Stampa. Tra i critici, la pellicola ha suscitato perplessità perché dei fatti di Genova offre una visione molto parziale: i momenti del G8 precedenti l’irruzione della polizia nella scuola Diaz appaiono solo di sfuggita. Eppure noi tutti ricordiamo il clima dei giorni antecedenti la manifestazione e poi la guerriglia nelle strade della città ligure. Tornano alla memoria le grottesche esercitazioni paramilitari delle «tute bianche» davanti alle telecamere del Tg; le dichiarazioni dei capi dei vari centri sociali di voler violare la Zona Rossa; quindi le devastazioni e la morte di Carlo Giuliani con un estintore in mano pronto per essere scagliato contro la camionetta dei carabinieri. La proposta politica latitava, e infatti non ha lasciato quasi traccia, sommersa da una retorica no-global che contestava il sistema senza andare a parare da alcuna altra parte. Ma questa è una impressione personale, da sostenitore del sistema contestato (il capitalismo). Invece, che sarebbe andata a finire male, lo sapevamo tutti. Era letteralmente impossibile ignorarlo. Anche molti pacifisti non si illudevano sul fatto che i facinorosi e gli estremisti avrebbero partecipato al corteo senza rinunciare alla forza. Per questo il film Diaz, che mostra le violenze (ingiustificabili, a scanso di equivoci) delle forze dell’ordine ma non tutto il resto, è una occasione sciupata. Lungi dal poter fornire una versione «condivisa» dei fatti, può solo dividere e scontentare tanto la destra (che vorrebbe fosse mostrato tutto) quanto la sinistra (per la quale il film è accomodante e reticente). «Il racconto è completamente decontestualizzato; non viene mai spiegato perché 300mila persone quel luglio 2001 si siano recate a Genova. Cosa può capirne un giovane che oggi ha vent’anni?».

Lo ha scritto Vittorio Agnoletto sul Manifesto. Un «dovere civile» sarebbe scrivere la storia, inclusa quella del G8, senza filtri ideologici. Impresa in Italia molto difficile. Diaz non ci è riuscito, anzi: non ci ha nemmeno provato.

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