Le forme craniche squadrate di Bersani, atavismo palese delle culture megalitiche preindeuropee, e quella sua certa calvizie operosa da mezzadro nato fattore, come il parlare emiliano da cui non sa liberarsi, così masticato e in ricerca perpetua dell’ovvio: sono tutti sintomi di certa vittoria. La sua è infatti la fisiognomica perfetta del comunista appenninico, e quindi sempre saputo, in posa di spiegare agli altri come un’ovvietà quello che lui non ha mai capito. E, proprio perché è così se stesso, non ci viene da volergliene. Il suo è di quei visi intabarrati, perfetti per i libri di Guareschi. Insomma: non solo non stona, ma neppure finge: perciò m’è più simpatico di un Franceschini tutto sacrestia e ragioneria. Del resto la sua nomina obbedisce pure alla necessità, ovvero al meno traballante di tutti i molto incerti residui poteri che ha ancora il Partito democratico. Corrisponde a quella Lega appenninica ch’è di fatto ormai l’unica residua distinzione originale della sinistra. Essa ovunque ha un suo ben misero futuro; ma solo nelle regioni appenniniche, bersaniane del Centro-Nord ha ancora un qualche passato. E dunque è ovvio per il Pd l’arroccamento, tra le coop furenti, gli aceti balsamici, e gli eterni rancori mezzadrili, eredi degli schiavi degli etruschi in rivolta.
La nomina del caro Bersani scansa l’altra, pur sempre tranquillizzante eventualità, che sia l’emiliano Fini a ritrovarsi prima o poi eletto a segretario del Pd. Anche lui con dialetto e fisiognomica emiliana più che perfetti per la carica. Peraltro questa elezione ha un suo originale interesse, pure per come conferma il palese e per ora inevitabile regionalizzarsi, se non municipalizzarsi, della vita politica. Da qualche settennio infatti viviamo in un contro Risorgimento del quale la Lega in Veneto e in Lombardia è stata l’astuto inizio, seguito ora persino dal ritorno in voga dell’autonomismo siciliano, al quale è facile già prevedere un gran futuro. Per non dire del Molise; di cui Di Pietro è pure incarnazione politica archetipa, come Bossi a Varese o Berlusconi in Brianza. Ed il paragone potrebbe proseguire nelle Puglie. Ma, seppure logico, non piacerebbe ai nostri lettori pugliesi. Giacché Vendola, Luxuria, D'Addario sono le novità politiche recenti più distintive di quei luoghi.
E però c’è pur sempre D’Alema coi baffetti che avevano tutti i barbieri del Sud quando i film della commedia all’italiana erano ancora un’epica. Torna in effetti a suo onore che al trio sopradetto egli abbia almeno preferito i tratti mezzadrili e rassicuranti di Bersani. E comunque lo sfarsi regionale in atto dell’Italia, il suo sciogliersi in un’atavica commedia, così poco seria da non potersi dire neppure del tutto non seria, è certo. Com’era scontato che il regionalismo fosse considerato finito, prima che Bossi riuscisse appunto a confonderlo con il federalismo e salvare così il più inefficiente dei corpi statali: le regioni. Altra contorsione logica, di un’Italia che resta sempre impossibile da spiegare; come gli italiani. Ora, proprio ora, tra orde di cinesi, arabi e amerindi che l'invadono, essa si arrocca in una regressione.
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