Acqua, quanto è buona quella del rubinetto?

Continuano a crescere i consumatori di acqua non imbottigliata. Ecco che cosa beviamo

Acqua, quanto è buona quella del rubinetto?

Ci siamo soffermati sulle acque minerali in bottiglia. Ma naturalmente esiste un'alternativa: l'acqua del rubinetto o, come si dice, “del sindaco”. Scopriremo tra poco se rappresenta una soluzione altrettanto efficace o addirittura migliore.

Ma che ne pensano gli italiani? Agli inizi degli anni 2000 circa il 60% della popolazione faceva uso dell'acqua “domestica”. Percentuale che è poi aumentata di circa sette punti alla fine del primo decennio. Ora il trend si presenta in lenta ma costante ascesa.

L'acqua immessa in una rete idrica è un'acqua opportunamente trattata per essere resa potabile. Svariati sono gli interventi che può subire, a seconda del grado di contaminazione originario.

Come l'acqua è resa potabile

In sintesi, il trattamento standard prevede una serie di passaggi: una preossidazione-disinfezione con ozono o composti del cloro per eliminare i batteri nocivi; una coagulazione-flocculazione, in grado appunto di far coagulare anche le particelle più fini in sospensione che vengono così rimosse; due filtrazioni, una su sabbia e una su carbone attivo granulare per rimuovere i composti organici residui e, infine, una disinfezione con un composto del cloro tale da mantenere un'adeguata percentuale di cloro residuo nelle condotte di distribuzione.

Tutto facile, dunque? Non esattamente. Il processo di potabilizzazione non pare esente da conseguenze: dall'interazione tra la sostanza disinfettante e la materia organica normalmente presente nell'acqua possono derivare sottoprodotti indesiderabili. In particolare, utilizzando come disinfettanti i composti del cloro si sviluppano numerose sostanze chimiche i cui soli nomi sono sufficienti a suscitare apprensione: si tratta di trialometani come il cloroformio e il bromoformio e di una famiglia di acidi, gli acidi aloacetici, per i quali non è ancora stato stabilito un valore di soglia a tutela della salute dei consumatori.

Ci sarebbe l'ozono, come abbiamo scritto prima. È un ottimo disinfettante e non dà origine ai suddetti sottoprodotti, ma può interagire con il bromuro presente nell'acqua originando lo ione bromato, sospetto cancerogeno. A questo elenco, necessariamente parziale di residui del trattamento di potabilizzazione, vanno aggiunti altri inquinanti di origine antropica, che, penetrando nel terreno, possono arrivare a contaminare le falde e che, in certi casi, possono sopravvivere ai processi di filtrazione.

La normativa in vigore, sufficientemente restrittiva e cautelativa per la salute, e i numerosi controlli effettuati nei laboratori di analisi, garantiscono che le acque di rete siano sufficientemente salutari e buone da bere. In più, a differenza delle acque minerali per le quali non sono previste soglie restrittive, sulle acque di rete è monitorata anche la radioattività, sondando la presenza di trizio e misurando la dose totale indicativa su base annua. Non solo:le acque minerali confezionate in bottiglia di plastica possono rimanere per mesi e mesi a contatto con sostanze chimiche riconosciute come disturbatori endocrini (ad esempio il Bisfenolo A).

Ai punti sembrerebbe facile assegnare la palma della maggiore sicurezza proprio all'acqua del sindaco, dunque. Ma ci sembra doveroso precisare un ultimo punto che forse pochi conoscono.

I gestori di acque pubbliche assicurano la potabilità dell'acqua solo fino al contatore, non al punto d'uso, cioè al rubinetto di casa. Se le tubazioni condominiali e domestiche sono vecchie, o se l'acqua staziona in vasche di raccolta poco pulite, è possibile che sgorghi dal rubinetto torbida o colorata, che sia contaminata da batteri, o che contenga un tasso maggiore di metalli pesanti, presentando al naso e al palato un odore e un sapore sgradevoli. Questo è uno dei motivi per cui si stanno diffondendo a macchia d'olio gli impianti domestici per affinare l'acqua; ne esistono di tutti i tipi e per tutte le tasche, ma quello che si sta imponendo come più popolare è senz'altro la caraffa filtrante.

Prima di raccogliersi nella caraffa, l'acqua del rubinetto passa attraverso una capsula filtrante multistrato. Senza soffermarci sulle varie fasi del filtraggio, ci limitiamo a ricordare che, senza alterare il residuo fisso, il filtraggio modifica la composizione quantitativa dei sali disciolti, diminuendo la durezza dell'acqua dovuta esclusivamente a calcio e magnesio, responsabili degli eventuali depositi calcarei. Vi è poi un filtro ulteriore a carbone attivo, che elimina sapori e odori sgradevoli connessi al trattamento con il cloro e rimuove alcuni microinquinanti chimici, a cui è aggiunta una percentuale di sali d'argento con proprietà antibatteriche. Infine, due ulteriori reti di contenimento hanno il compito di evitare il rilascio in acqua delle particelle di carbone.

Ma è davvero opportuno utilizzare questo strumento?

Sicuramente l'acqua esce migliorata per quel che riguarda il contenuto di piombo, cloro, zinco e alcuni pesticidi, ma il filtro è inefficace per la riduzione dei nitrati, di cui abbondano le acque di falda delle zone di pianura sfruttate per l'allevamento e l'agricoltura.

Inoltre, se la capsula non viene periodicamente pulita e sostituita al termine del suo ciclo di vita, può addirittura peggiorare la qualità dell'acqua perchè, dopo un periodo di ristagno, può diventare luogo di coltura di una prolifica flora batterica.

In definitiva, nel “derby” delle acque è difficile trovare, a tutt'oggi, un vincitore sicuro...

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