LItalia è al secondo posto in Europa, dopo la Spagna. Purtroppo mentre cresce la domanda di trapianti si deve registrare un calo delle donazioni (- 6 per cento, questanno, rispetto al 2009). Il professor Franco Filipponi, direttore del dipartimento di trapiantologia epatica dellUniversità di Pisa, ha affrontato questo delicato argomento in un libro («Santi o schiavi», B. C. Dalai) presentato nei giorni scorsi a Milano. Bisogna ridisegnare ha detto lintero progetto, rafforzando i contatti fra i reparti di rianimazione e le unità di trapianto. Bisogna inoltre raggiungere ununiformità di direttive su tutto il territorio. Anche in questaerea clinica, infatti lItalia è sconnessa: ci sono regioni «virtuose» (la Toscana è primatista) ed altre che arrancano. Non si può ragionevolmente affermare che i trapianti dorgano siano pericolosi. Grazie al perfezionamento delle tecniche chirurgiche e allimpiego della ciclosporina, i casi di rigetto non arrivano al 10 per cento e le équipe italiane oggi vantano statistiche che, in molti casi, eguagliano quelle di Houston.
Nel libro di Filipponi (coautori Paolo De Simone e Davide Ghinolfi) cè la storia della pratica trapiantologica e ci sono alcune date che appartengono allevoluzione sociale più che alla medicina: 1952, primo trapianto di rene; 1963, primo trapianto di fegato; 1967, primo trapianto di cuore. Cè unaltra data fondamentale: 1968. Nel corso di quellanno, una commissione di scienziati americani parlò per la prima volta di «morte cerebrale». LUniversità di Harvard sentenziò che gli organi di individui dichiarati cerebralmente morti potevano essere prelevati e impiantati in altri soggetti. Quella svolta - accettata dalla comunità scientifica moltiplicò il numero di trapianti eseguiti in tutto il mondo. I dati ufficiali rivelano che solo questanno in Italia, sono stati impiantati 2160 organi, tutti da donatore cadavere. La precisazione è necessaria perché da qualche anno (più negli USA che in Europa) si ricorre alla «donazione da vivente», e non sempre si tratta di consanguinei. Coloro che offrono un organo del loro corpo non ad un singolo malato ma alla collettività (senza contropartite economiche) vengono denominati «samaritani».
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