Element city in un anno qualsiasi di un'era qualunque, tanto qualunque che esiste solo nella penna e nei cartoni degli animatori. Element city è l'avvenire dove approda chiunque venga da un passato e sogni un futuro. Tra questi Ember, tenace, acuta e «ardente» ragazza sulla ventina, immigrata di seconda generazione perché papà Bernie e mamma Cinder proprio vent'anni prima avevano lasciato la terra di fuoco, sconvolta da una tempesta di sabbia, per dare un avvenire alla piccola. E ad Element city aveva incontrato Wade, ragazzo traboccante di buoni sentimenti che qui vive con la madre Brook, un'architetta da anni trasferita in questa città che di fatto è una frontiera. Forse un mondo. O un pianeta. Per questo vi approdano dalla terra di fuoco che è poco diversa da un sole e dal mondo fatto di acqua. Dove nulla è possibile senza aria.
Al di là di ciò che accadrà e non anticipiamo, sono sufficienti questi pochi tratti per comprendere il valore didattico dell'ultimo nato nella produzione Disney Pixar che ha chiuso il festival di Cannes rivolgendosi direttamente ai bambini. Immigrazione e pregiudizio, un binomio che spesso va a braccetto ma resta ugualmente valido pur al di fuori del rapporto di coppia, sono simboleggiati da Ember e Wade, due soggetti naturalmente incompatibili - l'acqua del secondo estingue il fuoco della prima - dove la fanciulla è figlia di un'emigrazione per cause naturali. Ma se al cuor non sempre si comanda... E arriviamo al terzo passaggio. Un pianeta da conservare dove le varie componenti eterogenee convivono creando un equilibrio naturale dove ogni forma di vita sia rispettata. Ne esce un cartoon certamente di minor impatto rispetto a capolavori e classici stile Sirenetta, Re Leone, La Bella e la bestia e via elencando.
Tuttavia forse ne risulta più funzionale per trasmettere ai ragazzini una lezione di cui lo stesso regista si fa portavoce. Anche lui immigrato di seconda generazione, americano di origini coreane che ha sposato un'americana per metà italiana. Gioie da melting pot.
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