Il disperato abitante del mondo di Labranca

Un iPod ficcato nelle orecchie, la periferia milanese, un viaggio notturno alla ricerca di una nuova filosofia di vita: l’isolazionismo

Ogni vero libro è come un regime costituzionale. Ha, cioè, uno statuto. Gli elementi, spesso disparati, di cui si compone devono infatti giungere a un accordo. Non importa se questo accordo nasca dall’amore o dall’odio: anche il dissidio più radicale deve potersi realizzare in una forma, e lo statuto di un libro è, per così dire, la circostanza che dà luogo alla forma. Se questo non c’è, non esiste più tragico né comico, ma solo caos, chiacchiera, luogo comune.
Ho letto, con crescente interesse man mano che le pagine scorrevano, Il piccolo isolazionista di Tommaso Labranca (Castelvecchi, pagg. 260, euro 13). E domando scusa a Labranca se io, scrittore come lui (e dunque non avente diritto), dico due parole sul suo libro. È un modo per ringraziarlo.
Il sottotitolo, parafrasando Kant, ci promette un po’ di sociologia: «Prolegomeni a una metafisica della periferia». Dovremmo prenderlo come un invito a leggere il libro in questa chiave? Dovremmo apprestarci a leggere, dunque, un saggio? La voce puntuta, un po’ nasale che percorre, fastidiosamente insistente, la pagina, potrebbe in effetti far pensare a un professore frustrato, e dunque risentito, e ben determinato, ora che gli si apre lo spazio di un libro, a non far mancare la propria opinione su tutto. In effetti, di opinioni è pieno il libro, ma la domanda che sorge è: opinioni di chi? Qui non c’è un metodo scientifico a determinare le diverse affermazioni. Ma non c’è nemmeno uno scrittore a corto d’idee che si sfoga dicendo la sua su tutto - se no altro che libro, sarebbe carta straccia. E invece il libro tiene, riga dopo riga.
Allora cominciamo a inquadrare la figura centrale, che popola il mondo di questo libro come suo unico, disperato abitante. Chi è il «piccolo isolazionista» che strappa da sé il mondo concreto e lo sostituisce con un altro mondo, e se ne va di notte lungo le tangenziali iniettandosi nelle orecchie una musica che ascolta come se fosse il racconto della sua biografia?
Chi conosce l’iPod conosce il suo fascino. L’iPod non è un semplice riproduttore di musica, ma un frantumatore di universi. L’ordine che un musicista dà a una fase del proprio lavoro attraverso un album viene distrutto. Il tempo che scandisce la sua evoluzione artistica si spiaccica contro questa pletora di opzioni. Alla fine, l’utente iPod scopre che la modalità «random», ossia «casuale», è quella propria dello strumento, e vi si consegna.
Una periferia che è come una nuova clausura ospita questo personaggio definito dal rifiuto di ogni nozione di «altro» (che riempie di sé la grande retorica del nuovo millennio). È un personaggio notturno, scheggia di altri mondi, polvere di stelle, filosofico ma solo nel senso lunare, riflettente del termine. Il suo rifiuto dell’essere, il suo grande «no», il suo vagare da e per il nulla sarebbero referti di un’isteria fin troppo frequente se non fossero le porte attraverso cui, per via negativa, mille destini si presentano.
Le figure odiate e respinte si ordinano secondo cammini che lo scrittore ci nasconde dietro il suo disprezzo ma che ci lascia indovinare nella loro tragica e anonima interezza. Figure, ad esempio, incontrate e lasciate a un semaforo, idiote come la loro musica e a un tempo terminali di tante storie sconosciute - storie che, fatto il giro delle galassie, si scopriranno collegate, strette alla nostra.
La protezione dei propri confini, del proprio perimetro corporeo, la coincidenza dei confini del romanzo con quelli del corpo, e tutto questo inteso come progetto, implementazione, a fronte del vuoto esterno, è caratteristico di un’antropologia collassata. Il personaggio di Labranca crede forse di praticare l’isolazionismo come forma di difesa dal gelatinoso abbraccio del mondo, in realtà la sua storia viene da lontano (per lui) e molto da vicino (per noi).


Non è necessario tenere di continuo l’iPod nelle orecchie, andarsene di notte per tangenziali, distribuendo quell’odio silenzioso che nasce dall’insoddisfazione e dal continuo giudicare. Per capire questo libro è sufficiente la paura che ci fa la diversità nel momento in cui - magari solo per rialzare una vecchietta caduta per strada - dobbiamo scegliere di entrare davvero in contatto con essa.

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