Dive impossibili e danze tribali È la donna da sogno di Parigi

Galliano celebra i 60 anni di Dior con una sfilata retrospettiva. Gaultier ricrea la Scozia in chiave londinese

da Parigi

Sembrava di assistere al remake de La signora di Shanghai invece che alla magnifica sfilata Dior andata in scena ieri a Parigi. John Galliano ha infatti creato una superba collezione per il prossimo inverno paragonabile al film diretto da Orson Wells nel 1946 e interpretato da Rita Hayworth che all’epoca era sua moglie. In seguito la diva sposò il principe Alì Kahn che l’accompagnava nell’atelier dell’allora emergente Christian Dior sussurrandole istruzioni tipo: «Quello rosso per i tuoi rubini, il verde con gli smeraldi, sul bianco con i brillanti non sbagli mai».
È questa l’atmosfera ricreata dal grande stilista di Gibilterra che in 10 anni ha moltiplicato per quattro i fatturati della maison di cui ricorre proprio nel 2007 il sessantesimo anniversario dalla fondazione. C’erano per esempio impeccabili tailleur con ricche maniche in pelliccia accessoriati da grandi cappelli a pagoda e splendide borse a mano che di nome fan «Samurai»: l’integralismo dell’eleganza francese nella seconda metà degli anni Quaranta con un tocco di esotico splendore giapponese. In pratica lo stesso tema dell’alta moda di Dior in una chiave più accessibile e commerciale. L’abito da sera bianco con le classiche cicogne benauguranti intagliate nel raso invece che nella carta di riso, da solo riassumeva tutte le sfumature di una maestria stilistica che in questa collezione ha utilizzato colori come verde mela, rosso rubino, rosa pesca, grigio perla, lilla, corallo e rosso cardinale.
Con questa tinta così bella e preziosa, Jean Paul Gaultier puntualizza una fenomenale sfilata ispirata alla Scozia e allo spirito eccentrico degli inglesi. Perciò i kilt che da sempre indossano gli impavidi guerrieri scozzesi si trasformano in meravigliosi modelli per le donne d’oggi: gonne ma anche trench nei classici motivi tartan delle Highlands. Tutto questo che potrebbe far pensare a una facile rilettura dello stile Bravehearth, assumeva invece nuova dignità nell’assemblaggio con incredibili acconciature tribali: piume e reti di seta nei capelli, gioielli d’argento e cristallo sul viso.
Un pezzo per tutti? L’abito da sera fatto all’uncinetto in lana nera oppure il tailleur di tartan grigio con un gran giro di volpi a profilare gli orli rotondi della gonna a petali. La sfilata si è aperta e chiusa con uno sensazionale spettacolo offerto da Coco Rocha, una ballerina specializzata negli acrobatici passi del reel al ritmo delle cornamuse. Del resto è noto l’amore per la danza di Gaultier tanto che al suo lavoro con la danzatrice e coreografa Regine Chopinot sarà presto dedicata una mostra al Musée des Arts décoratifs di Parigi. Invece la grande retrospettiva su Vivienne Westwood presentata lo scorso anno al Victoria & Albert Museum di Londra arriverà dal 20 settembre prossimo al Palazzo Reale di Milano grazie alla felice cocciutaggine di Vittorio Sgarbi.
«È l’unica vera creativa del mondo della moda» ha detto l’assessore alla Cultura in pieno consiglio comunale. «Tira fuori la cavernicola che c’è in te» dice invece la Westwood alle donne con una collezione piena di riferimenti primitivi: dalle stampe riprese dalle pitture rupestri delle caverne di Altamura agli abiti fatti senza neppure una cucitura ma con sapienti assemblaggi di stoffa e bottoni. Un inno all’istinto puro, alle radici, al cosmo primordiale.
Anche lei come Margiela enfatizza le spalle per disegnare una nuova silhouette che nel suo caso strizza l’occhio al mantello dei Flintstones, mentre in quello del misterioso stilista belga controllato da Renzo Rosso ha qualcosa di Mazinga.

Tra passato remoto e futuro prossimo s’infila la prima sfilata di Miyake disegnata da Dai Fujiwara con tutte le collezioni uomo e donna della griffe e il più nuovo uso del del denim visto finora in passerella. Inutile la sfilata di Viktor & Rolf, mentre in quella di Yohji Yamamoto creazione e rappresentazione andavano di pari passo.

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