IL DOCENTE UNIVERSITARIO 4 ALDO SCHIAVONE

«I docenti che hanno firmato l’appello della Fondazione Magna Carta a favore della riforma Gelmini hanno compiuto un atto degnissimo e più che legittimo. Tanto più che alcune delle motivazioni che li hanno spinti sono certamente condivisibili».
Difficile ricordarsi ed elencare titoli e incarichi del professor Aldo Schiavone, 66 anni. Storico, docente e saggista. Professore di Diritto Romano all’Istituto di Scienze Umane dell’Università di Firenze nonché Directeur de Recherche Invité all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, già direttore dell’Istituto Gramsci di Roma, editorialista di Repubblica. Una personalità di spicco del mondo universitario, ma che non si può certo definire vicino all’attuale governo.
È questo il motivo per cui lei, professor Schiavone, non ha firmato quell’appello?
«Sostanzialmente sì. Direi che mi è sembrata un’iniziativa legittima e più che rispettabile ma con una connotazione politica di centrodestra troppo marcata».
Quei suoi cinquecento colleghi hanno firmato perché vogliono, così scrivono nell’appello, difendere l’università dalle corporazioni e dalla demagogia. Che pensa al riguardo?
«Penso, anzi sono convinto, che abbiano tutte le ragioni. Ma sono anche convinto che la maggioranza dei docenti, che ha cuore il futuro dell’università, sia esattamente come loro. Siamo tutti contro la demagogia. E la demagogia arriva da destra e da sinistra».
Come giudica la riforma Gelmini?
«Non è certo un provvedimento da demonizzare. Non è vero per esempio che consegna l’università ai privati e, fra i punti apprezzabili del provvedimento, c’è sicuramente quello sul reclutamento dei docenti. La riforma era una piattaforma su cui maggioranza e opposizione avrebbero potuto e dovuto lavorare assieme. Solo che non lo hanno fatto. E questo ha certamente contribuito ad acuire le tensioni e a vanificare lo sforzo del ministro Gelmini, un ministro sfortunato».
Sfortunato, perché?
«Perché è arrivata alla conclusione dell’iter del suo provvedimento e si è trovata a condurne il varo in un momento di scontro politico determinato dall’esigenza dell’opposizione, per parte mia giusta, di rovesciare questo governo. Il ministro è stato sfortunato perché ha dovuto affrontare non solo la battaglia contro l’opposizione ma anche quella contro alcune forze interne al suo partito, secondo cui l’università italiana andrebbe liquidata perché una parte dell’élite intellettuale può formarsi all’estero e il resto dei giovani del Paese, interpreto il pensiero di Tremonti, si può arrangiare. Contro questa idea, questo le va riconosciuto, la Gelmini ha combattuto un battaglia dentro il suo stesso governo».
E gli studenti, quelli veri, non i guerriglieri di strada, che cosa si aspettano?
«Gli studenti hanno mille ragioni per protestare, non tanto per la riforma in quanto tale, ma perché i governi che si sono succeduti, sarebbe ingeneroso dire che è tutta colpa di Berlusconi, hanno lasciato l’università nell’abbandono. Hanno svenduto due generazioni e il loro futuro. E di questa situazione, se è colpevole il centrodestra, non è immune dalle colpe la sinistra. La risposta alla crisi è investire e migliorare i livelli di ricerca».


Professore lei crede che chi, fra i suoi colleghi, ha firmato l’appello in favore della riforma Gelmini, avrà d’ora in poi vita dura in università?
«Il solo pensiero mi infastidisce. È inammissibile parlare di possibili ritorsioni. Posso solo dire loro di continuare a lavorare a testa alta».

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